Continua a crescere nel Mezzogiorno la povertà. Secondo il rapporto Svimez presentato oggi a Roma, nel 2016 circa 10 meridionali su 100 sono in condizione di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord. L’incidenza della povertà assoluta al Sud nel 2016 cresce nelle periferie delle aree metropolitane e, in misura più contenuta, nei comuni con meno di 50 mila abitanti.
Nelle regioni meridionali il rischio di povertà è triplo rispetto al resto del Paese: Sicilia (39,9%), Campania (39,1%), Calabria (33,5%). La povertà deprime la ripresa dei consumi, e, in questo contesto, conclude la Svimez, le “politiche di austerità hanno determinato il deterioramento delle capacità del welfare pubblico a controbilanciare le crescenti diseguaglianze indotte dal mercato, in presenza di un welfare privato del tutto insufficiente al Sud”.
Insomma, il sorpasso è già finito: se l’anno scorso il Sud era cresciuto più delle regioni del Centro-Nord, alla fine del 2017 il vecchio ordine sarà ristabilito. Secondo le previsione della Svimez, il Pil del Mezzogiorno metterà a segno l’1,1 % di crescita, confermando l’1 % del 2016. Ma le regioni del Settentrione potranno passare dal risicato +0,8% del 2016 ad un più solido +1,4 per cento. Distanze che non cambieranno nel 2018 (0,9 contro 1,2). Marciando a questi ritmi per il Sud il recupero dei livelli pre crisi arriverà solo nel 2028, mentre per il Centro Nord è previsto per il 2019.
Crolla la spesa pubblica per investimenti – Ma non è l’unico dato che emerge dal rapporto. Terminata nel 2015 la fase di accelerazione della spesa pubblica legata alla chiusura della programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013, per scongiurare la restituzione delle risorse comunitarie, nel 2016 c’è stata una severa contrazione della spesa pubblica in conto capitale: lo scorso anno ha toccato nel Sud il punto più basso della sua serie storica, appena 13 miliardi, pari allo 0,8% del Pil.
In particolare la crescita del prodotto nel 2016 è stata sostenuta nel Mezzogiorno dall’aumento sia dei consumi che degli investimenti soprattutto privati che hanno più che compensato la riduzione degli investimenti pubblici. I consumi finali interni sono aumentati al Sud dell’1%, quelli delle famiglie dell’1,2%, anche se nelle aree meridionali aumenta meno che nel Centro-Nord la spesa alimentare e quella per abitazioni. La crescita degli investimenti nel 2016, (pari al 2,9% nel Sud), è stata elevata sia nell’industria in senso stretto (+5,2%), dopo anni di flessioni, sia soprattutto nell’edilizia (+8,7%). L’andamento è stato, invece, negativo nell’agricoltura (-3%, dopo il +4,2% del 2015 che ha risentito dell’annata agraria eccezionale). Si conferma altresì la crescita dell’export, anche in un periodo di rallentamento del commercio internazionale.
Occupati – Nella media del 2016 gli occupati aumentano rispetto al 2015 al Sud di 101 mila unità, pari a +1,7%, ma restano comunque di circa 380 mila al di sotto del livello del 2008. L’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato in termini relativi è più accentuato nel Mezzogiorno, grazie al prolungamento della decontribuzione. Ma l’incremento degli occupati anziani e del part time contribuisce a determinare una preoccupante ridefinizione della struttura e qualità dell’occupazione. La riduzione dell’orario di lavoro, facendo crescere l’incidenza dei dipendenti a bassa retribuzione, deprime i redditi complessivi. Il dato più eclatante è il formarsi e consolidarsi di un drammatico dualismo generazionale: in Italia rispetto al 2008 sono ancora un milione 900 mila i giovani occupati in meno. Per quel che riguarda i settori, nel 2016, aumenta l’occupazione nell’industria (+2,4%), mentre diminuisce nelle costruzioni (-3,9%). Significativo incremento nel turismo (+2,6%).
Crollo Pil – Nel quindicennio 2001-2016 la caduta del Pil cumulato al Sud è stata del -7,2%, a fronte di una crescita del 23,2% dell’Ue a 28. Nel 2016 il prodotto dell’Italia è cresciuto dello 0,9%, dopo essere aumentato dello +0,1% nel 2014 e del +0,8% nel 2015. Il recupero, però, è molto più lento se confrontato con l’area dell’euro, dove la crescita è stata doppia (1,8%), e con l’intera Unione europea, dove è stato ancora maggiore (+1,9%). Si è quindi continuata ad allargare la forbice di sviluppo con l’Europa: dall’inizio della crisi nel 2008, il divario cumulato con l’area dell’euro è aumentato di oltre 10 punti percentuali, con l’Unione europea di oltre 12 punti.