Il nuovo Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) del Mite, pubblicato lo scorso 11 febbraio sul sito ufficiale del ministero e in Gazzetta Ufficiale, individua le aree in cui è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale. Fin dalla sua pubblicazione si sono levate voci critiche da parte delle associazioni ambientaliste.
Greenpeace aveva parlato di “finzione ecologica” del ministro Roberto Cingolani sottolineando come il PiTESAI avrebbe dovuto contenere un’indicazione chiara sul termine ultimo per chiudere qualsiasi attività estrattiva nel nostro Paese (come hanno fatto Francia e Danimarca) e nessuna proroga per le concessioni di coltivazione e i permessi di ricerca che non siano stati sottoposti a Valutazione di impatto ambientale (94 concessioni e 1 permesso di ricerca sui 248 titoli minerari vigenti al 30 giugno 2021).
Legambiente accusò da subito il Governo di “avere sbagliato strada” cercando “soluzioni tampone, scellerate e insensate”. Ora cominciano ad arrivare i ricorsi. L’altro ieri con la firma dell’avvocato Paolo Colasante, con la collaborazione del costituzionalista Enzo Di Salvatore, al Tar del Lazio è stato presentato il ricorso contro i ministeri della Transizione ecologica, della Cultura e dello Sviluppo economico.
A ricorrere, con l’aiuto del Coordinamento No Triv, sono i Comuni di Alba Adriatica (Teramo), Atella (Potenza), Atena Lucana (Salerno), Baragiano (Potenza), Barile (Potenza), Buonabitacolo (Salerno), Carpignano Sesia (Novara), Lavello (Potenza), Lozzolo (Vercelli), Martinsicuro (Teramo), Maschito (Potenza), Montemilone (Potenza), Monte San Giacomo (Salerno), Montesano sulla Marcellana (Salerno), Noto (Siracusa), Padula (Salerno), Pineto (Teramo), Polla, (Salerno), Rionero in Vulture (Potenza), Ripacandida (Potenza), Sala Consilina (Salerno), Silvi (Teramo), Teggiano (Salerno), Venosa (Potenza).
A questi si aggiungono le regioni di Abruzzo, Basilicata, Campania, Sicilia e Piemonte. Si contesta innanzitutto la legittimità del Piano che avrebbe dovuto essere adottato, tassativamente, entro il 30 settembre 2021 mentre porta la data del 28 dicembre scorso ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo l’11 febbraio 2022. Il ricorso sottolinea “la mancata considerazione degli effetti cumulativi dei progetti esistenti e di quelli che potranno essere richiesti” in contrasto con le regole dell’Ue.
Ma soprattutto, scrivono i ricorrenti, il piano non assolve il compito “di individuare un quadro preciso di riferimento delle aree ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi” risultando piuttosto “atto di indirizzo generale”. I ricorrenti pongono l’accento anche su quanto emerso dalla Conferenza unificata di Regioni ed enti locali, che ha dato parere positivo “subordinatamente alla garanzia che, nelle aree idonee definite dal Piano, il prosieguo delle attività connesse ai permessi di ricerca di idrocarburi si limitino esclusivamente al gas”, e non al petrolio.
“L’adesione del Mite alla condizione posta – si sostiene nel ricorso – è, per un verso, illegittima e, per altro verso, inutile, poiché è impossibile stabilire a priori, prima di una perforazione, se si troverà solo gas”. Greenpace, WWF e Legambiente riflettono sul fatto che se “un’area è stata individuata come ‘non idonea’ da un punto di vista ambientale, economico e sociale, non si capisce perché possa diventare magicamente ‘compatibile’ se c’è una parvenza misera di gas da sfruttare”, ricordando che “la quasi totalità del gas estratto in Italia proviene da 15 concessioni di coltivazione, mentre le restanti 86 contribuiscono ognuna pochi decimi percentuali rispetto al totale”.