Giuseppe Cimarosa ha 40 anni e fa l’istruttore di equitazione e il regista di teatro equestre. È nipote di Matteo Messina Denaro ma ha scelto l’antimafia. La madre Rosa Filardo è cugina di primo grado del superlatitante e il padre Lorenzo collaborò con la giustizia fino al 2017, anno in cui morì. E l’ultima foto di Messina Denaro è stata scattata proprio al matrimonio dei suoi genitori.
Cimarosa, la sua sensazione dopo l’arresto di Messina Denaro?
“Da subito sollievo, gioia felicità e orgoglio. Perché era qualcosa che si sperava di ottenere anche se non ci credevo affatto che sarebbe venuto questo giorno”.
Nei giorni scorsi ha organizzato un presidio a Castelvetrano, nel feudo di Messina Denaro. Com’è andata?
“Non benissimo. L’ho voluto fare lì perché volevo invitare i cittadini a manifestare coraggio. Ora serve coraggio. Dobbiamo toglierci la cappa di mafiosità. La mafia e Matteo Messina Denaro erano operativi perché la gente ha paura. Lo volevo fare nella piazza di fronte alla famiglia Messina Denaro perché ha un valore diverso, lì viene fuori il coraggio, ispirandomi a Peppino Impastato e i suoi 100 passi dal boss Badalamenti”.
Come legge la poca partecipazione?
“Sicuramente molti hanno paura”.
30 anni di latitanza nei suoi luoghi. Chi lo proteggeva?
“Lui è stato protetto dalla rete di fiancheggiatori, dagli amici di infanzia, quelli che si considerano fratelli. È stato protetto da rapporti che sono rimasti sempre solidi e inviolati di gente che avrebbe fatto carte false per proteggerlo”.
Cosa pensa del dibattito dopo l’arresto?
“Prima tutti erano virologi e ora sono tutti esperti di mafia. Penso che non si debba dire niente. Non si possono fare previsioni. Bisogna affidarsi alle forze dell’ordine che stanno cercando prove e elementi. Sono stanco di sentire ipotesi e illazioni. Serve verità”.
Il ministro Piantedosi ha detto che “le protezioni politiche” di Messina Denaro sono roba vecchia…
“Non sono d’accordo. Una persona come lui non può generalizzare: è sbagliato a prescindere. Bisogna essere ponderati, razionali. Lo dicono i fatti degli ultimi anni con i tanti comuni sciolti qui in Sicilia. Quanta gente della nostra politica era connivente con la mafia? Moltissima”.
Come vede questo risveglio dell’antimafia in Italia?
“È un ciclo, l’argomento è caldo e si parla di questo. Invece qui c’è bisogno di attenzione vera, dalla politica, con persone che la Sicilia la capiscono, ci devono essere ragionamenti di chi conosce le dinamiche di questi territori”.
Dal punto di vista personale, dopo la collaborazione di suo padre, cosa significa questo arresto?
“Noi abbiamo chiuso un capitolo, abbiamo dato un senso alla sofferenza di questi anni, alla collaborazione di mio padre, e alla sua morte. Abbiamo fatto il nostro dovere di cittadini, niente di speciale. Lo Stato dovrebbe far fiorire storie come queste, molto di più, invece di ostacolarle e lasciare le persone al loro destino”.
Intanto si sta mettendo in discussione l’uso delle intercettazioni…
“Sono imbarazzato. In modo romantico e ingenuo direi che proprio grazie alle intercettazioni abbiamo catturato Messina Denaro. Ma come si può metterle in discussione? A chi giova? Se nessuno ha niente da nascondere perché si vuole questa cosa?”.
Se dovesse spiegare la mafia ai ragazzi, dopo averla vissuto così da vicino, cosa direbbe?
“Farei leva sui sentimenti e le coscienze. Li metterei davanti a quelle intercettazioni inascoltabili in cui si progettano i delitti, davanti alle immagini delle stragi, agli omicidi, a quel bambino sciolto nell’acido. Per spiegare la mafia ai ragazzi bisogna metterli di fronte al grottesco, in modo crudo.
Ora come prosegue il suo attivismo?
“Io faccio quello che ho sempre fatto. Se la mia storia sarà utile continuerò a raccontarla”.