Messina Denaro, la Procura ha disposto i domiciliari per un avvocato con l’accusa di aver gestito la cassa del boss durante la latitanza

Messina Denaro, la Procura ha disposto i domiciliari per un avvocato con l'accusa di aver gestito la cassa del boss durante la latitanza

Messina Denaro, la Procura ha disposto i domiciliari per un avvocato con l’accusa di aver gestito la cassa del boss durante la latitanza

Gestiva i soldi della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara e garantiva a Matteo Messina Denaro il sostentamento economico durante la latitanza: sono le accuse che hanno portato oggi all’arresto dell’avvocato Antonio Messina, 79 anni, finito ai domiciliari con l’accusa di associazione mafiosa.

Secondo l’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, Messina – soprannominato “Solimano” nel linguaggio cifrato usato nei pizzini da Messina Denaro e dalla sua storica amante Laura Bonafede – avrebbe avuto un ruolo chiave nel sostenere economicamente il boss di Cosa nostra, attraverso una rete di rapporti con esponenti mafiosi di primo piano della provincia di Trapani. Già condannato in passato per narcotraffico, concorso esterno in associazione mafiosa e subornazione di testimoni, Messina sarebbe stato formalmente affiliato a Cosa nostra su proposta del boss Leoluca Bagarella.

Gli inquirenti descrivono Messina come “un personaggio poliedrico”, capace di affiancare l’attività professionale di avvocato al supporto logistico ed economico dell’organizzazione criminale. Tra le attività illecite emerse dall’indagine, spicca il tentativo di mettere le mani su un terreno confiscato alla mafia e affidato al Comune di Campobello di Mazara. In una conversazione intercettata, il legale proponeva al mafioso Giovanni Vassallo di appropriarsi del bene attraverso una società o un’associazione no-profit, immaginando di realizzare ristoranti e supermercati sull’area.

Messina Denaro, la Procura ha disposto i domiciliari per un avvocato con l’accusa di aver gestito la cassa del boss durante la latitanza

Ma il rapporto tra l’avvocato e Messina Denaro si sarebbe deteriorato nel tempo. Da un pizzino sequestrato nel covo del boss emerge che il padrino e la Bonafede avevano progettato di punire Messina per presunte violazioni di accordi economici. “Che Solimano tenesse tanto al denaro l’ho sempre capito, gli piace spendere e fare soldi facili, ma mai avrei potuto pensare che arrivasse a tanto”, scriveva Bonafede, riferendosi all’avvocato. “Quando dici che gliela farai pagare, che non ti fermi, ti posso dire che ne sono certa”, aggiungeva nel messaggio, confermando il risentimento covato verso il legale.

Dagli atti emerge che l’avvocato avrebbe in passato sovvenzionato direttamente la latitanza di Messina Denaro, ma la sua crescente avidità avrebbe provocato tensioni tali da spingere il boss a minacciare ritorsioni nei suoi confronti. Gli investigatori ritengono che il legale abbia subito anche episodi intimidatori, conseguenza delle frizioni con il vertice della mafia trapanese.

L’arresto di Messina rappresenta un nuovo colpo all’organizzazione di Messina Denaro, e mette in luce ancora una volta il ruolo di professionisti infedeli nel supportare le attività criminali.