Era il 16 gennaio 2023, quando il boss Matteo Messina Denaro veniva arrestato, dopo 30 anni di latitanza, dai Carabinieri del Ros presso la clinica Maddalena di Palermo. Dopo l’arresto, l’attenzione degli inquirenti si concentrano sul primo covo del boss – in vicolo San Vito, ex via CB31- nel cuore di Campobello di Mazara, nel Trapanese. Lì gli uomini de reparto del Ros hanno rinvenuto profumi costosi, scarpe di marca, vestiti di lusso, un frigo pieno di vivande e tante ricevute e scontrini ma anche una biografia di Putin e biglietti aerei intestati ad Andrea Bonafede.
Tutti i misteri del capomafia di Castelvetrano. Dalla cattura agli ultimi giorni di vita di Matteo Messina Denaro
Insieme ai diversi oggetti, c’erano anche cartelle cliniche, referti medici e un’agenda in cui appuntava date, pensieri e riflessioni indirizzate alla figlia Lorenza. Tra gli oggetti ritrovati anche un libro mastro contenente numeri con entrate e uscite, ma anche con sigle. Il covo era circondato da tante abitazioni, palazzi, negozi, un rivenditore di automobili, bar e benzinai.
In fondo alla stessa via di accesso, una palestra. La casa era intestata ad Andrea Bonafede, geometra. Pochi giorni dopo viene rinvenuto il secondo covo dell’ex latitante – via Maggiore Toselli 34, a 300 metri dal primo – i Carabinieri del Ros perquisiscono l’abitazione del vero Andrea Bonafede, geometra, 59 anni, che ha prestato la propria identità al boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro.
L’abitazione, che si trova a pochi metri in linea d’aria dal secondo bunker, è stato posto sotto sequestro. E’ di proprietà di Errico Risalvato e sarebbe stato utilizzato dal Boss poco prima di trasferirsi in vicolo San Vito. Si tratta di una stanza blindata ben nascosta. Un terzo covo viene rinvenuto in via San Giovanni 260, a circa 300 metri dalla prima abitazione. Vengono effettuate perquisizioni in tutta Campobello di Mazara, nel corso delle indagini a seguito della cattura del super boss. Viene ispezionata l’abitazione dell’avvocato Antonio Messina, in Via Selinunte, che dista circa 800 metri da terzo covo e di fronte all’abitazione di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss.
Viene perquisita anche l’abitazione estiva dell’avvocato, a Torretta Granitola e un altro immobile in via Galileo Galilei, sempre a Campobello di Mazara. Il 21 gennaio viene ritrovata l’autovettura del boss Matteo Messina Denaro. Si trovava all’interno di un cortile, nei pressi del terzo covo, a Campobello di Mazara, in Via San Giovanni, e a 300 metri dal primo, di fronte l’abitazione di Giovanni Luppino. Si trattava di un’Alfa Romeo nera, modello “Giulietta” la cui chiave era stata ritrovata nel borsello di Matteo Messina Denaro al momento dell’arresto. Era parcheggiata sotto una tettoia in cui vi erano anche attrezzi agricoli, camion e trattori parcheggiati. L’auto è immatricolata nel 2020, regolarmente assicurata e appartenente a Giuseppa Cicio, madre di Andrea Bonafede, prestanome del boss.
L’Alfa Romeo Giulietta nera del boss Matteo Messina Denaro viene ripresa da diverse telecamere installate all’esterno del Palazzo Municipale a Campobello di Mazara. E’ accaduto nei giorni prima dell’arresto, cioè sabato 14 gennaio alle ore 11 circa e domenica 15 alle ore 13.50 circa.
Subito dopo la cattura del boss Matteo Messina Denaro, le indagini si indirizzano verso coloro i quali, nel periodo più recente, gli sono stati vicini e gli hanno dato supporto durante la latitanza. Viene quindi individuato Andrea Bonafede, a cui era intestata la carta d’identità del boss nel momento in cui viene arrestato. In data 23 gennaio 2023 è stata applicata la misura cautelare in carcere per il reato di partecipazione a “cosa nostra”.
I ruoli del medico Tumbarello e del prestanome Bonafede
Successivamente le indagini si indirizzano nei confronti di Alfonso Tumbarello, il medico di Campobello di Mazara che seguiva il percorso terapeutico del boss con la carta d’identità di Andrea Bonafede. Il medico viene successivamente arrestato per aver curato il boss sotto falso nome e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico. Tumbarello avrebbe garantito “all’esponente di vertice dell’intera associazione Matteo Messina Denaro, durante la sua latitanza, l’assistenza sanitaria, l’accesso alle cure pubbliche e un intero percorso terapeutico sotto falsa identica, con ciò consentendo all’associazione mafiosa di continuare a essere gestita, diretta e organizzata dal predetto Messina Denaro”.
La morte del boss, dopo quattro giorni di coma
L’ultimo respiro, dopo quattro giorni di coma, poco prima delle 4 della mattina di un freddo lunedì di settembre: è morto così Matteo Messina Denaro. E’ spirato in solitudine, monitorato dalle apparecchiature sanitarie che registrato il suo ultimo battito cardiaco hanno segnalato il decesso. Dal reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila, dove il boss era ricoverato dall’inizio della fase terminale del tumore al colon che in poco meno di tre anni lo ha ucciso, la notizia della morte di Matteo Messina Denaro è rimbalzata prima dell’alba alla Procura di Palermo al Comando Generale dei Carabinieri e al Ministero dell’Interno. Da otto mesi, dalla la cattura il 16 gennaio da parte del Ros dei Carabinieri, il capomafia era detenuto nel supercarcere di Costarelle a l’Aquila.
Il nulla oltre l’orrore che resta
La morte del padrino di Castelvetrano focalizzerà ulteriormente le indagini antimafia sui 30 anni della sua latitanza e sui beni dell’impero finanziario, societario e immobiliare ereditato dal padre, lo storico capomafia trapanese Francesco Messina Denaro, e incrementato dall’erede designato del clan. Un impero radicato essenzialmente in Sicilia, gestito attraverso prestanome e intestazioni fittizie e finanziariamente esteso da Matteo Messina Denaro anche all’estero.
Una gestione di beni che presuppone contabilità e movimentazioni per le quali sono indispensabili appunti, la tenuta di un registro e probabilmente un computer. Carte e computer che gli inquirenti stanno cercando nei covi ancora segreti. Elementi essenziali per venire a capo delle ulteriori identità utilizzate, delle coperture e delle complicità che hanno garantito al boss protezione e agibilità durante la latitanza. “Queste cose io, qualora ce le avessi, non le darei mai, non ha senso per il mio tipo di mentalità”, ha in proposito dichiarato Messina Denaro ai magistrati della Procura di Palermo durante gli interrogatori.
Oltre ai retroscena delle stragi di mafia, fra i tanti segreti che il capomafia deceduto si è portato nella tomba vi é soprattutto quello riguardante l’archivio di Totò Riina, che secondo il pentito Nino Giuffré dopo la cattura del capo dei capi di cosa nostra, nel gennaio del 1993, sarebbe stato consegnato al boss di Castelvetrano. L’allora giovane rampollo delle cosche trapanesi e il padrino corleonese erano molto legati. “Riina era maniacale nel mettere insieme e conservare tutti i documenti, prendeva appunti anche alle riunioni e li metteva da parte e quelle carte sono finite a Matteo Messina Denaro”, ha affermato con convinzione il pentito Giuffré.
Segreti e misteri che se effettivamente confermati sono comunque destinati ad essere decrittati. L’attenzione ora si sposta a Castelvetrano dove sarà trasferito e sepolto Matteo Messina Denaro. Esclusi i funerali pubblici, saranno minuziosamente radiografate presenze e partecipazioni al lutto dei familiari. Per decifrare eventuali indizi e disinnescare il rischio di giustificare un’esistenza senza senso e senza pietà come quella vissuta da Matteo Messina Denaro. Un’esistenza della quale oltre l’orrore resta il nulla.