“Io non mi farò mai pentito”. È quanto ha detto, senza esitazioni, il boss di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, nel corso dell’interrogatorio dal procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, subito dopo l’arresto, avvenuto il 16 gennaio scorso a Palermo.
Reso noto il contenuto del primo interrogatorio di Matteo Messina Denaro dopo il suo arresto avvenuto il 16 gennaio scorso
Nel corso dell’interrogatorio il boss, ricoverato oggi in ospedale a L’Aquila dopo un peggioramento delle sue condizioni di salute, nega di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga, ma ammette di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano.
“Ma con l’omicidio del bambino non c’entro”
“Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo… ma con l’omicidio del bambino non c’entro” ha detto ancora Messina Denaro durante l’interrogatorio, il cui verbale è stato depositato oggi, riferendosi all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido.
“Il mafioso riservato è tipo un altro argomento di legge, se vogliamo dire, farlocco, come il ‘concorso esterno’, io preferirei, se fosse una mia decisione: tu favorisci… il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni; meglio così: si leva il farlocco di torno” ha detto al boss al procuratore di Palermo De Lucia e dall’aggiunto Guido che gli chiedevano di Andrea Bonafede, accusato di essere un uomo d’onore riservato e di aver prestato al padrino l’identità.
“Cosa nostra la conosco dai giornali”
Il capomafia, in un altro passaggio dell’interrogatorio, critica sia la definizione di uomo d’onore riservato che il concorso esterno in associazione mafiosa. “Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali” ha detto ancora Messina Denaro.
“La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, ha detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi. “E lei non ha mai avuto a che fare Cosa nostra?”, gli chiedono i magistrati. “Non lo so magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra”, risponde. “Quali reati ha commesso?”, lo incalzano. “Non quelli di cui mi accusano: stragi e omicidi. Non c’entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare”.
“Mi avete preso per la mia malattia”
“Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia” ha detto ancora ai pm il boss di Cosa nostra nel corso dell’interrogatorio in cui ha raccontato che fin quando ha potuto ha vissuto rinunciando alla tecnologia, sapendo che sarebbe stato un punto debole. Ma poi ha dovuto cedere.
“Non volevo offendere il giudice Falcone”
“Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa… Il punto qual è? Che io ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare” ha aggiunto il boss commentando la chat audio in cui, fermo nel traffico per le commemorazioni della strage di Capaci, imprecava.