L’Unione europea ci ripensa. Ancora una volta. La Commissione, che un tempo sbandierava il Green Deal come simbolo di una transizione ecologica irreversibile, ha deciso di ridimensionare gli obiettivi sulle emissioni automobilistiche. Con una mossa che sa di resa, il nuovo schema allenterà la presa sulle case automobilistiche, consentendo loro di calcolare le emissioni medie su un triennio invece di riferirsi ai dati annuali. Tradotto: obiettivi più facili da raggiungere e multe più difficili da incassare.
A parlare di “pragmatismo” e “neutralità tecnologica” è stata Ursula von der Leyen, dopo un nuovo incontro con i giganti dell’industria automobilistica. Il concetto è chiaro: servono regole più morbide per le aziende che faticano a stare al passo. Il problema? L’industria europea arranca non per colpa dei limiti ambientali, ma perché non è mai riuscita a tenere il passo dell’elettrico, a differenza della Cina.
Un regalo da 15 miliardi
La normativa attuale impone una riduzione del 15% delle emissioni entro il 2025 rispetto ai livelli del 2021. Le case automobilistiche che sforano la soglia devono pagare 95 euro per ogni grammo di CO₂ in eccesso per chilometro e per ogni veicolo venduto. Una regola chiara, in vigore da anni. Eppure, adesso che la scadenza si avvicina, l’industria europea – capitanata dalle lobby dell’auto e ben rappresentata dal Partito popolare europeo – ha fatto pressioni per ottenere un alleggerimento delle regole. Il rischio? Fino a 15 miliardi di euro di multe.
Ed ecco il compromesso: non più un obiettivo da rispettare annualmente, ma una media triennale che diluisce l’impatto delle sanzioni. Il nuovo schema sarà proposto formalmente entro il mese, con procedura accelerata. Il Parlamento e il Consiglio europeo dovranno approvarlo, ma con la maggioranza popolare e con governi come l’Italia e la Repubblica Ceca in prima linea per ammorbidire le regole, l’esito sembra già scritto.
L’illusione della neutralità tecnologica
La Commissione insiste nel difendere la decisione con il mantra della “neutralità tecnologica”. Un concetto che, in teoria, significa non favorire una tecnologia a discapito di un’altra. Nella pratica, significa aprire la porta ai carburanti sintetici, come i biofuel e gli e-fuel, su cui paesi come l’Italia stanno spingendo per prolungare la vita dei motori a combustione.
L’industria dell’elettrico europea, già in difficoltà, si trova così a combattere su più fronti: contro le case automobilistiche che continuano a puntare sulla combustione interna, contro una politica europea sempre più esitante e contro la concorrenza cinese, che sta inondando il mercato con veicoli elettrici più economici e tecnologicamente avanzati.
L’Europa perde tempo, la Cina accelera
Mentre la Commissione studia nuovi modi per diluire i vincoli ambientali, la Cina avanza. I produttori cinesi di auto elettriche stanno conquistando fette di mercato grazie a modelli più accessibili e performanti. Per tentare di arginare l’invasione, l’Ue ha già imposto nuovi dazi sulle auto elettriche cinesi, ma nel frattempo le aziende europee arrancano, incapaci di competere sul prezzo e sulla tecnologia.
Il Green Deal, presentato come il pilastro della strategia europea per il clima, si sta trasformando in un esercizio di equilibrismo politico. Mentre la transizione energetica dovrebbe essere una corsa, Bruxelles sembra più impegnata a piazzare ostacoli lungo il percorso. E chi frena, alla fine, non è mai chi sta davanti.