di Massimiliano Lenzi
Sono dodici, come gli apostoli. Stiamo parlando dei referendum radicali sulla giustizia e sui nuovi diritti umani per i quali si stanno raccogliendo le firme. Ieri hanno apposto la loro i pdiellini Mariastella Gelmini e Fabrizio Cicchitto, perché non è mai troppo tardi (in attesa della Cassazione, il 30 luglio) per scoprire la democrazia diretta come strumento di lotta politica, di impegno civile e di mobilitazione. Meno male che Marco Pannella c’è. Perché sarà pure un rompiscatole, ma che combattente. Giorgio Napolitano dovrebbe farlo senatore a vita, soprattutto oggi che il grido di Berlusconi e del Pdl è “hasta il referendum, siempre”. E adesso persino Beppe Grillo – con il web, la democrazia diretta e pure lo strumento del referendum – insegue, nella sua strategia di sfida al sistema, pezzi della strada tracciata da Pannella. Nell’era della politica da talk show che stiamo vivendo, in fondo le ultime grandi vittorie sui diritti sono state tutte pannelliane. Avessero dato seguito ai referendum votati dagli italiani e ai memento radicali la casta non esisterebbe mica. Abolito il finanziamento pubblico, lotta alla partitocrazia. Trasparenza. Lo dicono da una vita con tanto di battaglie referendarie. Soprattutto sulla giustizia, una vecchia fissa radicale dai tempi della battaglia condotta insieme ad Enzo Tortora e poi tradita dal Parlamento.
Dodici proposte di governo
Conviene allora guardarli più da vicino questi referendum radicali sulla giustizia, visto che in queste ore si stanno trasformando come l’unico strumento concreto di mobilitazione delle truppe berlusconiane contro la magistratura militante. Propongono la responsabilità civile dei magistrati (rendendo più agevole per il cittadino l’esercizio dell’azione civile risarcitoria indiretta nei loro confronti, anche per i danni eventuali da questi cagionati nell’attività di interpretazione delle norme di diritto o nella valutazione dei fatti e delle prove); la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e di quelli giudicanti; la cessazione del fenomeno dei magistrati cosiddetti “fuori ruolo” che sono collocati al vertice dei gabinetti e degli uffici legislativi dei Ministeri (così garantendo una vera separazione dei poteri ed eliminando la commistione tra magistratura e alta amministrazione); l’eliminazione della custodia cautelare per il rischio di reiterazione nel caso di reati non gravi. E infine l’abolizione dell’ergastolo (si vuole che la pena massima sia di 30 anni di reclusione). Fuor di giustizia, gli altri quesiti chiedono il divorzio breve, l’abolizione della pena detentiva per fatti di lieve entità in materia di stupefacenti, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la possibilità di lasciare allo Stato la quota dell’8 per mille di chi non esercita l’opzione, l’abrogazione del reato di clandestinità e infine la modifica delle norme discriminatorie che comportano la perdita del permesso di soggiorno per quegli immigrati che perdono il lavoro. Una rivoluzione liberale senza bisogno di 6 per 3, di discese in campo o di Bolognine post crollo del muro di Berlino.
Non è mai troppo tardi?
Dopo aver attraversato il deserto degli ultimi anni a gridare contro il sistema tutto – televisioni comprese ben prima che cominciasse a farlo Grillo – oggi Pannella osserva il Pdl correre ai suoi banchetti per firmare. Ci voleva tanto? Se le battaglie politiche sono vissute con la convinzione di essere giuste si fanno subito. Si chiama politica: proposta, impegno e, quando necessario, mobilitazione. La Gelmini, alcuni giorni fa ha detto: «Il Pdl deve sostenere con forza i referendum sulla giustizia dei radicali. Già troppe occasioni ci siamo lasciati sfuggire per riformare il sistema, questa non ce la possiamo far scappare. I temi sono gli stessi che da anni sono al centro delle nostre battaglie, dalla responsabilità civile dei magistrati alla separazione delle carriere. Inoltre trattandosi di una consultazione popolare, i cittadini si dovranno esprimere e indicare la giustizia che vogliono per il loro Paese e, dopo anni di scontri sulla materia, oggi ancor di più, questo è importantissimo e dobbiamo fare in modo che avvenga dando risonanza ai referendum». In queste sue parole c’è di riflesso l’errore politico degli ultimi vent’anni nazionali: non aver utilizzato prima questo strumento e anzi a volte averlo colpevolmente sabotato. Pannella ha invece compreso che solo la democrazia diretta può cambiare radicalmente il sistema e rompere la conservazione. Pensateci un attimo: il divorzio, l’aborto, l’elezione diretta dei sindaci, il tentativo del maggioritario, il nucleare, la scala mobile e potremmo andare avanti a lungo.
Pannella è la vestale di questa linea di battaglia politica, il combattente per via diretta. Oggi che tutti gli danno ragione perché hanno perso per lui sarà di sicuro un giorno di vittoria (politica) ma anche – crediamo – di tristezza. Avere ragione per ultimo in politica rallenta il corso delle cose. O forse no. Non è mai troppo tardi per essere pannelliani perché come diceva il buon Giuseppe Prezzolini in Italia «il vero conservatore sa andare indietro perché, per andare avanti, bisogna qualche volta arretrare per prendere meglio la spinta». Ammesso che esistano, in Italia, i conservatori. Chissà perché ma di questi tempi sembriamo (e sembrano) tutti radicali.