Una sforbiciata agli sconti e ai bonus fiscali per ridurre le aliquote Irpef. Il piano del governo è stato annunciato da mesi dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che vuole tagliare detrazioni e deduzioni fiscali per finanziare la riduzione da quattro a tre scaglioni Irpef.
Come spiega la Repubblica, i bonus fiscali valgono il 4% del Pil: un dossier dei tecnici del Senato di luglio mostra che tra il 2016 e il 2022 gli sconti sono cresciuti del 40%, raggiungendo quota 740 per un totale di 125 miliardi di euro. Eliminando dal conteggio quelli riguardanti Comuni e Regioni, si arriva a 626 sconti per 82 miliardi. Proprio qui dovrebbe andare a tagliare qualche miliardo il governo.
Taglio ai bonus fiscali, perché non è semplice: tutti i rischi
Il primo problema deriva dal fatto che un taglio degli sconti vuol dire togliere soldi alle famiglie che finora li percepivano. Anche se l’effetto non sarebbe immediato come per una sforbiciata in busta paga.
Questo non è però l’unico problema: il dossier del Senato sottolinea anche che lo Stato non sa neanche come vengano spesi questi soldi: “Per quasi l’80% delle misure è difficile svolgere analisi complete, il 30% non è quantificabile o ha effetti trascurabili”. In sostanza non si sa neanche a chi vanno alcune di queste misure e per quanti soldi.
Chi potrebbe rimetterci con il taglio di deduzioni e detrazioni
Attualmente ci sono molti sconti per pochi contribuenti che prendono tanto e tanti altri a molte persone che invece prendono poco. Quali il 60% dei bonus riguarda gruppi inferiori alle 30mila persone. Sicuramente non verranno toccati gli sconti riguardanti figli, casa, salute, istruzione, previdenza complementare, risparmio energetico, riduzione del rischio sismico. Cioè la fetta più ampia delle deduzioni e detrazioni.
La commissione di esperti voluta da Leo per i decreti attuativi della delega fiscale sta studiando i possibili tagli. E l’ipotesi più semplice non è tagliare alcune misure, ma semplicemente abbassarli tutti in base al reddito. Oggi i bonus vengono ridotti sopra i 120mila euro e si azzerano a quota 240mila. Questa quota si potrebbe abbassare fino ai 60mila euro, con il rischio di scontentare però parte dell’elettorato delle destre.