Hanno finalmente trovato gli scafisti, quelli della Lega. Secondo i giovani che hanno partecipato alla sguarnita cerimonia annuale di Pontida lo scafista sarebbe niente di meno che Antonio Tajani, leader di Forza Italia, ministro di governo nonché alleato degli stessi leghisti.
Che Matteo Salvini sia corso a porre le proprie scuse è un particolare di poco conto. Il capo dei leghisti fa esattamente quello che fanno i suoi alleati: pugno duro tra i suoi fedelissimi e bella faccia con i compagni di governo.
Ma l’utilizzo della parola “scafista” rivolta a Tajani ci dice molto di più. Nell’agone politico odierno funziona l’iperbole a ogni costo, si deve massimizzare tutto per riempire la pancia dei propri elettori. Se Tajani diventa uno scafista è inevitabile che l’azione politica contro gli scafisti di cui si è vantata Giorgia Meloni sia una boutade, una sciocchezzuola da dare in pasto ai maiali.
Dice molto anche Giorgia Meloni che nelle chat di partito si dica stupita che con Salvini ai Trasporti non siamo finiti a percorrere l’Italia sui dorsi dei muli. L’armata Brancaleone che guida il Paese è zeppa di odiatori seriali che si accoltellano alle spalle appena si presenta l’occasione.
Alla luce del veleno che emerge in queste ultime ore si può facilmente comprendere come gran parte delle iniziative legislative non siano nient’altro che sgambetti, piccole zuffe da cortile condominiale, magre vendette di bambini mal cresciuti.
Nemici sempre, nemici ovunque. È la stessa aria che tira sul resto del Paese, dove perfino la sofferenza delle guerre è un campo di scontro tra presunti influencer. Nella nostra lingua c’è una parole che descrive bene la situazione, si dice degrado morale.