In perfetta continuità con il governo Draghi l’esecutivo Meloni ha compiuto l’ennesimo pasticciaccio sul Superbonus. Ieri è scaduto il tempo per chi voleva usare il vecchio 110%, e dunque per per consegnare al Comune la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila), che consentirà ancora a condomini e villette di usufruire dell’agevolazione massima sulla ristrutturazione. Con tutti i siti dei Comuni che sono andati in tilt per il boom di richieste.
In perfetta continuità con il governo Draghi l’esecutivo Meloni ha compiuto l’ennesimo pasticciaccio sul Superbonus
Da oggi, per chi vuole effettuare lavori edilizi nella propria abitazione, le regole cambiano: lo sconto al 110% resta solo per la parte di opere effettuate fino a fine 2022, mentre dal primo gennaio 2023 l’aliquota scende al 90%. Inoltre, da gennaio si riduce la platea dei beneficiari: potranno accedervi soltanto i condomini e i proprietari di villette che hanno un Isee sotto i 15mila euro, calcolato tenendo conto del quoziente familiare. È stato il decreto Aiuti quater del nuovo governo a modificare il Superbonus 110%, già ampiamente rimaneggiato da Draghi.
La riduzione del Superbonus farà risparmiare allo Stato 4,5 miliardi di euro, secondo i dati della relazione tecnica che accompagna il decreto aiuti quater in discussione in Senato. Il calcolo si basa sull’ipotesi che i lavori condominiali si ridurranno del 20%, a causa del minor incentivo. L’ultimo decreto aiuti prevede anche più tempo per le villette unifamiliari per usufruire del Superbonus al 110%.
L’agevolazione, per quelle che hanno effettuato almeno il 30% dei lavori complessivi al 30 settembre 2022, viene estesa dal 31 dicembre 2022 al 31 marzo 2023. Con un costo per lo Stato di 270,3 milioni di euro, sottolinea la relazione tecnica. Il Superbonus (ma al 90%) viene inoltre confermato per le villette delle famiglie con un reddito complessivo sotto i 15mila euro (calcolato in base al numero dei componenti familiari), per ristrutturare la propria abitazione principale. Il costo complessivo sull’orizzonte temporale previsto è di 2,5 miliardi.
Il M5S, padre della misura che ha fatto da volano all’economia, contesta i risparmi stimati dal governo
Il M5S, padre della misura che ha fatto da volano all’economia, contesta i risparmi stimati dal governo nella misura di 4,5 miliardi relativamente al passaggio dell’agevolazione dal 110% al 90%, definito “autolesionista”. Una somma “scritta sulla sabbia”, visto che da essa vanno già tolti due miliardi che arriveranno dal recupero delle monofamiliari nel nuovo impianto del provvedimento tarato sul 90%.
Quindi si sfascia una misura che – come specificato pochi giorni fa dal Censis – ha saputo dar vita a 900 mila posti di lavoro, con un’incidenza del 22% sul Pil e un ritorno di 43 miliardi in termini di gettito fiscale, per risparmiare una cifra poco più che risibile. “A questo punto però il governo – dicono i pentastellati – dovrebbe dirci quanto ci costerà questa alzata d’ingegno in termini di mancata crescita. O a quanto ammonteranno i costi per lo Stato della cassa integrazione che andrà a toccare quei lavoratori del comparto edilizio che perderanno il lavoro. O ancora, quanto inciderà questo ‘decalage forzato’ sul ritorno fiscale e sul mancato risparmio energetico”.
Oltre al M5S anche Forza Italia aveva fortemente criticato il blitz che ha cambiato “le regole in corsa”
Nulla, peraltro, ha invece fatto finora il governo sullo sblocco definitivo della circolazione dei crediti fiscali. Tanto che i giochi sul bonus potrebbero riaprirsi con modifiche in sede di conversione del decreto. Oltre al M5S anche Forza Italia aveva fortemente criticato il blitz che ha cambiato “le regole in corsa”. Ed aveva assicurato un emendamento al dl per spostare di un mese la fine del 110%. Oltre alla richiesta sui crediti incagliati.