Giorgia Meloni che da Bruxelles ribadisce che “no, non vedo assolutamente rischi” che l’Ue non paghi la terza tranche del Pnrr da 19 miliardi ricorda tanto i musicisti che continuavano a suonare mentre il Titanic affondava.
Si moltiplicano, infatti, i report, da quello della Corte dei conti – anticipato da il Sole 24 ore – a quello di Openpolis sui ritardi che l’esecutivo sta accumulando nella messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza e aumentano gli allarmi e gli inviti da parte delle istituzioni a non perdere più tempo prezioso.
Il monito a Meloni
Ultimo in ordine di arrivo quello del Colle. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, concludendo il suo intervento alla Conferenza nazionale delle Camere di commercio, a Firenze, ha detto testualmente: “Nel ringraziarvi per il vostro impegno, mi permetto di rivolgere a voi l’invito che, in un contesto ben diverso, Alcide De Gasperi rivolse nel dopoguerra, quando occorreva ricostruire l’Italia dalle macerie e, insieme, edificare un’autentica democrazia. È il momento per tutti, a partire dall’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, di ‘mettersi alla stanga’”.
Solo qualche giorno prima, provocando l’ira della Lega, il commissario Ue, Paolo Gentiloni, aveva detto che la realizzazione del Pnrr è più importante del Ponte sullo stretto e della flat tax.
E, sebbene la premier abbia cercato di scaricare i ritardi accumulati sul Pnrr su chi l’ha preceduta, a inchiodarla alle sue responsabilità ci sono report e analisi di tutto rispetto, come dicevamo.
L’Italia è in attesa dell’esito dell’ultima richiesta di finanziamento, inviata alla Commissione europea il 30 dicembre 2022, insieme alla documentazione che dovrebbe provare il raggiungimento delle 55 scadenze europee che erano previste per il secondo semestre del 2022.
Tuttavia – dice Openpolis – non risultano completate 13 scadenze su 55. E su questo sarebbero in corso le verifiche di Bruxelles che giustificherebbero il ritardo nell’erogazione della terza tranche. La situazione è fosca anche per questo primo scorcio di anno. E qui ha poco Meloni da incolpare Draghi.
Alla fine del primo trimestre di quest’anno, cioè il 31 marzo, il nostro Paese dovrebbe conseguire 12 scadenze di rilevanza europea. Cioè le uniche oggetto di controllo da parte della commissione e quindi vincolanti per la ricezione dei fondi. Ma anche qui in base alla attività di monitoraggio di Openpolis, nessuna scadenza Ue del primo trimestre risulta a oggi completata dal governo.
Che rischierà di trovarsi ingolfato considerando che per il secondo trimestre del 2023 ci saranno altre 15 nuove scadenze da raggiungere. Allarmante il bilancio che la Corte dei Conti presenterà nelle 386 pagine della relazione semestrale al Parlamento martedì prossimo e che il Sole 24 Ore ha anticipato.
Basta un numero per rendere l’idea: ad oggi è stato speso solo il 6% dei fondi del Pnrr. Da qui l’ansia del governo di ridiscutere il Piano con Bruxelles. L’obiettivo è traslitterare alcuni progetti dal Pnrr alla programmazione della politica di coesione 2021-2027.
In tal modo, di fatto, l’attuazione del progetto avrebbe tre anni in più per essere completata. La deadline dei target e delle riforme stabilite dal Recovery fund è nel 2026, quella per la spesa dei fondi europei di Coesione arriva fino a due anni dopo il settennato in corso, ovvero il 2029.
“Dalla commissione europea non c’è nessuna ossessiva rigidità, considerato che sono stati rivisti i piani di tre Paesi. Si negozia e si fanno le correzioni necessarie”, ha precisato Gentiloni. Ma la trattativa non è affatto facile e i ritardi accumulati dal governo potrebbero anche essere troppi ed esaurire la pazienza di Bruxelles.