I macronisti di casa nostra si sono ammosciati. Non hanno fatto in tempo a ripiegare le bandiere con cui avevano festeggiato il contenimento di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon (che per loro pari sono) e ora gli tocca fare i conti con i risultati del secondo turno delle legislative. I numeri parlano chiaro: a Ensemble servivano almeno 289 deputati per poter governare e invece l’asticella si è fermata a un magro 246.
In Francia Marine Le Pen segna un risultato storico sfiorando i 90 eletti
Marine Le Pen intanto segna un risultato storico sfiorando i 90 eletti. La Nouvelle Union populaire écologique et sociale (Nupes), con Jean-Luc Mélenchon alla guida di France Insoumise, socialisti, verdi e comunisti, conquista 142 seggi. Basta leggere i numeri definitivi per capire quanto sia fragile la narrazione di chi proponeva come “argine alla destra sovranista” il macronismo per poterlo riproporre qui da noi nella sua accezione peggiore: un finto moderatismo che strizza l’occhio a destra ma finge di essere progressista, l’icona di un “uomo nuovo” che altro non è che la riproposta del mantenimento dei soliti equilibri e il giochetto sporco di demonizzare la sinistra unita al pari della xenofoba e pericolosa Le Pen.
È lo stesso trucco ereditato da Sarkozy che nel 2011 ripeteva “né con il Rassemblement, né con la sinistra”. Ora come andrà a finire è scontato: Macron guarderà alla destra moderata dei Républicains per avere i numeri per governare. Quegli stessi repubblicani indeboliti proprio dal macronismo che passano dai 100 eletti nel 2017 ai 64 seggi attuali, svuotati dallo stesso presidente che ora sosterranno di voto in voto.
Quindi la Francia è riuscita a arginare la destra sovranista? Per niente. Marine Le Pen continua ad avanzare nonostante Macron avesse deciso di correre alle presidenziali “spinto dall’indignazione per la crescita dell’estrema destra”. Le Pen guadagna voti (e seggi) nonostante la martellante accusa di essere stata molto vicina a Putin (come effettivamente è stata) e nonostante i suoi toni sempre più spinti.
Ora trasferiamoci qui da noi. Gira, come sempre, la tentazione di mettere insieme un’accozzaglia di aspiranti moderati di ispirazione liberale che puntano a costruire il “grande centro” che poi ad ogni elezioni si rivela microscopico. Anche da noi la strategia è quella di ripetere ossessivamente “non vorrete mica la Meloni?”, aggiungendoci il fallimentare concetto del “voto utile” e curandosi molto blandamente di tutto il resto.
Non è un caso che il “fronte Draghi” sognato da Calenda, Renzi e compagnia punterebbe a tenere insieme partiti molto differenti (almeno a parole) sulla visione economica e sociale del Paese. La scusa – sempre quella – è l’emergenza: dopo l’emergenza Covid, dopo l’emergenza guerra, in attesa dell’emergenza climatica (che vedrete verrà usata da quegli stessi partiti che negano il cambiamento climatico) ora l’emergenza è Giorgia Meloni e il suo partito.
Il risultato è scritto nei sondaggi degli ultimi anni: opporsi a Salvini in quanto Salvini e non con ricette opposte per il Paese ha finito per logorare il leader leghista ma ha semplicemente spostato i suoi voti sul Salvini successivo, ovvero la Meloni. Definire estremisti tutti coloro che non stanno nella tiepidezza liberale è un gioco pericoloso, che mette sullo stesso piano chi lotta contro i salari da fame con chi vuole bastonare i disperati. Finché la destra, alla fine, vince.