Secondo quanto dichiarato dall’esercito israeliano (IDF), quella in Libano doveva essere un’operazione militare limitata così da evitare l’escalation del conflitto in Medio Oriente. Tuttavia, con il passare delle ore, risulta sempre più complicato sostenere questa tesi. L’offensiva, sia aerea che terrestre, si estende ormai su gran parte del Paese. Solo nelle ultime 24 ore, l’aviazione israeliana ha colpito “circa 185 obiettivi terroristici di Hezbollah in Libano e circa 45 obiettivi terroristici di Hamas nella Striscia di Gaza, tra cui cellule terroristiche, siti infrastrutturali, strutture militari, posti di osservazione, lanciatori e depositi di armi”.
Al momento si segnalano feroci combattimenti al confine tra Israele e Hezbollah, con i miliziani che affermano di aver respinto quelli che definiscono “invasori”, mentre proseguono intensi – e reciproci – scambi di missili. Una ventina di razzi sparati dai combattenti del Partito di Dio libanese sono riusciti a penetrare le difese israeliane, colpendo la città di Kiryat Shmona e causando la morte di due civili. In risposta, Israele ha nuovamente bombardato la valle libanese della Bekaa e anche Dahiyeh, il sobborgo meridionale di Beirut considerato una roccaforte di Hezbollah, provocando un numero ancora imprecisato di morti e feriti.
Come se non bastasse, l’IDF ha intensificato i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, colpendo alcuni ospedali – dove si sono registrati quattro decessi – e anche i campi profughi di Bureij e Nuseirat, in cui almeno nove persone hanno perso la vita. Secondo alcune indiscrezioni, Hamas avrebbe risposto con un attentato a Hadera, città nel centro di Israele, dove un uomo – prima di essere neutralizzato dall’IDF – ha accoltellato cinque persone, due delle quali sono decedute.
Centrotrenta militari israeliani rifiutano di combattere: “Netanyahu mette a rischio gli ostaggi”
Di fronte a questo bagno di sangue e alla comunità internazionale che guarda con apprensione all’escalation in Medio Oriente, arriva una nota di speranza: 130 soldati dell’esercito israeliano si sono rifiutati di combattere a Gaza per non “sottoscrivere la condanna a morte” degli ostaggi – ben 101, a quanto si apprende, sono ancora nelle mani di Hamas.
Come si legge nel comunicato dei militari: “Molti (ostaggi) sono stati uccisi dai bombardamenti dell’IDF, molti di più rispetto a quelli che sono stati salvati nelle operazioni militari” e così “noi, che abbiamo servito e continuiamo a servire con dedizione, rischiando la vita, annunciamo che, se il governo non cambia immediatamente rotta e non si impegna a raggiungere un accordo per riportare a casa gli ostaggi, non saremo in grado di continuare a combattere”.
Il Medio Oriente trattiene il fiato: Netanyahu sente Biden, ma non accetta consigli sulla rappresaglia all’Iran
Questa presa di posizione, tuttavia, sembra non scalfire il primo ministro Benjamin Netanyahu, che su X (ex Twitter) ha pubblicato un video in cui invita i libanesi a “liberare il Paese da Hezbollah affinché la guerra possa finire”, evitando “le distruzioni e le sofferenze che vediamo a Gaza”. Nel messaggio, il leader israeliano si rivolge ai “cittadini del Libano: ricordate quando il vostro Paese era chiamato la perla del Medio Oriente? Cosa è successo al Libano? Una gang di terroristi l’ha distrutto” e “Israele ha il diritto di difendersi da loro e di vincere, ed è proprio quello che faremo”.
Insomma, Netanyahu non sembra minimamente intenzionato a porre fine alle ostilità. Un concetto che ha ribadito anche al presidente americano Joe Biden durante una telefonata, in cui quest’ultimo sperava di convincerlo a moderare le azioni in Libano e, nel caso di attacco all’Iran, ad agire con cautela. Perché ora dopo ora sembra sempre più vicina una resa dei conti tra Tel Aviv – dove cresce il numero di deputati che chiedono a Netanyahu di colpire gli impianti nucleari iraniani – e Teheran.
Come ha dichiarato Moshe Saada, deputato del Likud: “Netanyahu deve fare ciò che è bene per lo Stato di Israele. Adesso ha un’opportunità storica unica per essere ricordato nei libri di storia come un difensore di Israele e dell’Occidente e tutto quello che deve fare è attaccare i (siti) nucleari prima che Teheran sviluppi l’arma atomica”.
Alta tensione con Teheran
Proprio l’attesa rappresaglia israeliana contro l’Iran è, però, motivo di forti frizioni tra Netanyahu e Biden. A rivelarlo è il Wall Street Journal, secondo cui l’amministrazione statunitense sarebbe “frustrata dal fatto che il governo israeliano si rifiuti di discutere dei suoi piani di attacco all’Iran” così da poter decidere autonomamente e senza eventuali vincoli da parte di Washington, che teme un’ulteriore escalation del conflitto.
Con l’azione militare che potrebbe scattare da un momento all’altro, Teheran, attraverso l’ambasciatore della Repubblica Islamica in Turchia, Mohammad Hassan Habibollah Zadeh, ha ribadito che in caso di attacco “Tel Aviv brucerà”, aggiungendo che “i Paesi terzi non dovrebbero essere partner di attacchi o partecipare agli attacchi israeliani contro l’Iran. Altrimenti, risponderemo”.