Con la guerra nella Striscia di Gaza che procede, nonostante Hamas e Israele stiano discutendo la proposta di pace promossa da Joe Biden, il tanto temuto rischio di escalation in Medio Oriente sembra più che una possibilità. A suggerirlo è quanto riportato dal media libanese Al Akhbar, affiliato a Hezbollah, secondo cui il governo del Regno Unito di Rishi Sunak avrebbe avvertito il Libano che Tel Aviv lancerà un’offensiva su larga scala a metà giugno.
Un’operazione di cui non si conoscono né l’entità né la durata, e per la quale Londra ha consigliato a Beirut di “prendere le disposizioni necessarie per la guerra”. Secondo il giornale, Nabih Berri, presidente del parlamento libanese, preoccupato per questa eventualità, avrebbe avuto, già la settimana scorsa, una conversazione telefonica con l’inviato speciale americano, Amos Hochstein, per chiedergli di intercedere con Benjamin Netanyahu rilanciando i negoziati “per raggiungere una soluzione” capace di mettere fine alle tensioni sul confine tra Israele e Libano.
Il Medio Oriente ribolle, secondo il Regno Unito Netanyahu ha messo nel mirino pure il Libano: “Attacco entro metà giugno”
Intanto, sono riprese, seppur tra mille difficoltà, le trattative di pace al Cairo tra Hamas e Israele, ma la sensazione è che l’eventuale accordo sia ancora molto distante. Questo perché il portavoce del Ministero degli Esteri del Qatar, Majed Al-Ansari, ha detto che “stiamo ancora aspettando risposte chiare” da Hamas e da Israele “sullo schema di accordo proposto” dagli Stati Uniti. Il silenzio sta preoccupando non poco i mediatori qatarioti, che fanno notare come “i principi contenuti nel discorso del presidente americano avvicinano le richieste di tutte le parti” e per questo non si capisce perché le parti stiano continuando a prendere tempo, scaricandosi le responsabilità di quello che appare come l’ennesimo stallo nei negoziati.
Che la trattativa sia in salita si capisce dal fatto che Netanyahu, malgrado una certa apertura alle trattative, appare stretto tra due fuochi. Da un lato, gli USA e la comunità internazionale gli chiedono di fermare le ostilità; dall’altro, i ministri di estrema destra del suo governo minacciano la crisi di governo nel caso in cui vada in porto l’accordo per il cessate il fuoco.
Ancora una volta, a creare problemi è il leader della destra radicale e ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, che alla vigilia del Jerusalem Day, la festa con cui Israele celebra la riunificazione della città nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, ha tuonato: “Il Monte del Tempio (Spianata delle Moschee, ndr) e Gerusalemme sono nostri. Dobbiamo colpirli dove è più importante per loro”. Proprio per questo Ben Gvir ha annunciato che in questa occasione “marceremo verso la Porta di Damasco”, ossia la zona da dove comincia il quartiere arabo, fino a raggiungere “il Monte del Tempio nonostante loro (le popolazioni arabe, ndr)”.
Il dramma degli ostaggi sconvolge il Medio Oriente
In tutto questo, l’esercito israeliano sta continuando le operazioni nella Striscia di Gaza, soprattutto a Rafah, per colpire “strutture e operativi terroristici”. Tra gli ultimi raid, come spiegato dal portavoce militare di Israele, “in base a precise informazioni di intelligence, la scorsa notte un drone ha colpito in modo mirato un compound di Hamas all’interno della scuola dell’UNRWA ‘Abu Alhilu’ a Bureij”, nella parte centrale di Gaza, “da dove gli operativi hanno compiuto e progettato numerosi attacchi contro civili e soldati israeliani”.
A Rafah, invece, l’operazione terrestre ha permesso di individuare e distruggere i cosiddetti “tunnel del terrore” in cui sono state rinvenute “numerose armi” usate dai miliziani di Hamas. Ma a preoccupare è soprattutto la situazione degli ostaggi israeliani ancora in mano ai terroristi palestinesi, su cui si stanno rincorrendo voci sinistre. Infatti, secondo il Jerusalem Post, che cita un conteggio effettuato dal governo Netanyahu, un terzo degli ostaggi, ossia 43 su 120, sarebbe morto in questi otto mesi di guerra. Un’indiscrezione che, se confermata, renderebbe ancora più complicata ogni ipotesi di pace nella Striscia di Gaza.