“Il numero di bambini uccisi o feriti dalle forze israeliane e dai coloni in Cisgiordania è più che raddoppiato dallo scorso ottobre”, quand’è deflagrato il conflitto in Medio Oriente, “con un bilancio di 158 morti e almeno 1.400 feriti, e si teme che ci siano ulteriori vittime in seguito all’escalation di violenza delle ultime sei settimane”. Lo dichiara Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro. Secondo gli ultimi dati disponibili, 115 bambini sono stati colpiti a morte tra il 7 ottobre e il 14 agosto, il triplo rispetto ai 10 mesi precedenti. Altri sono stati uccisi in attacchi aerei e di droni.
In totale sono 1.558 i bambini colpiti, ciò significa che da ottobre sono stati uccisi o feriti in media cinque bambini al giorno. Save the Children chiede alla comunità internazionale di intraprendere azioni incisive per assicurare la responsabilità delle violazioni contro i bambini in Cisgiordania e di porre immediatamente fine all’uso eccessivo della forza contro i civili, in particolare i più piccoli.
L’appello arriva dopo un’escalation di violenza da ottobre 2023, che si è aggravata ulteriormente ad agosto con l’aumento degli attacchi aerei e il lancio dell’Operazione campi estivi in città e paesi che, secondo l’esercito israeliano, aveva l’obiettivo di smantellare i gruppi di resistenza palestinesi. Il Ministero della Sanità riporta che, dall’inizio di agosto, sono state uccise circa 70 persone, tra cui 10 bambini, di cui più della metà dall’inizio dell’operazione militare, il 28 agosto.
Medio Oriente, ogni giorno cinque bambini rimangono uccisi o feriti in Cisgiordania. Lo rivela Save the Children
Secondo le Nazioni Unite, c’è stato un incidente reso noto il 5 settembre quando le forze israeliane hanno sparato e ferito un ragazzo di 16 anni a Tubas, nel nord della Cisgiordania, al quale sono state rifiutate le cure mediche e al quale è stato sparato di nuovo un colpo mortale prima che il suo corpo fosse trascinato via da un bulldozer.
Save the Children, si legge ancora nel sito, ha dichiarato che l’aumento della violenza sta ostacolando la consegna degli aiuti, impedendo lo spostamento del personale umanitario, tagliando i canali di comunicazione e le forniture di elettricità e bloccando l’accesso alle famiglie nelle aree sotto attacco. Tra queste c’è il campo profughi di Tulkarem, dove Save the Children è stata costretta a cancellare le operazioni programmate l’11 settembre a causa di una seconda incursione militare israeliana.
Questa escalation, condannata dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, evidenzia un livello costante e allarmante di forza e tattiche di tipo bellico in un’area che, secondo il diritto internazionale umanitario, non è in conflitto armato. L’uso consentito della forza è fortemente limitato in contesti non di conflitto.
Il dramma nel dramma del Medio Oriente
“Il secondo giorno di raid ho provato molta paura a causa degli attacchi aerei e degli spari. Il terzo giorno avevo ancora più paura perché le forze israeliane hanno fatto irruzione nella nostra casa. Sono entrati urlando e mia madre ha cercato di parlare con loro, ma loro hanno invaso la casa e perquisito ogni stanza. Avevamo molta paura”, ha dichiarato Dalia, 12 anni, che vive nel campo profughi di Tulkarem. “Per noi non c’è sicurezza. Da un momento all’altro potrebbero tornare o andarsene, non lo sappiamo”.
Il campo profughi di Tulkarem è stato oggetto di una seconda incursione il giorno successivo all’intervista di Dalia*. La madre di Dalia, Hind*, ha raccontato che durante l’incursione alla famiglia sono state tagliate le scorte di cibo, acqua, pane ed elettricità. “Si sono riuniti di notte, hanno iniziato l’incursione, sono rimasti a lungo qui e hanno fatto irruzione nella nostra casa, terrorizzando i bambini. Hanno fatto saltare la porta. Dalia* era in piedi, tremante, in un angolo. Mi hanno puntato le pistole contro e mi hanno ordinato di scendere senza prendere nulla. I bambini sono costantemente spaventati, privati delle cose più semplici. La loro salute mentale si sta deteriorando.
Questi bambini meritano di essere bambini, non di vivere nella costante paura di incursioni e sparatorie”, ha concluso Hind. Oltre all’escalation di violenza in Cisgiordania, dallo scorso ottobre sono aumentati gli arresti arbitrari, le detenzioni e gli abusi nei confronti dei minorenni nel sistema di detenzione militare israeliano, sono aumentati gli sfollamenti forzati di famiglie, le demolizioni di case e gli attacchi violenti da parte dei coloni israeliani.
Israele parla di “incidenti” ma Save the Children non ci sta
“Questi non sono incidenti isolati, ma fanno parte di una tendenza all’incremento delle operazioni militari israeliane e dell’uso della forza che stanno sistematicamente erodendo la sicurezza e i diritti fondamentali dei bambini palestinesi, che stanno pagando il prezzo più alto in questa escalation di violenza”, ha dichiarato Jeremy Stoner, Direttore regionale di Save the Children per il Medio Oriente.
“Ogni giorno, i bambini vengono uccisi, feriti o lasciati in gravi difficoltà e le loro famiglie sono costrette a piangere perdite inimmaginabili. Questo ambiente priva i più piccoli dei servizi essenziali e persino della sicurezza di base delle loro case, strappando loro il senso di sicurezza proprio quando ne hanno più bisogno. Non dobbiamo permettere che la violenza contro i bambini venga normalizzata o accettata come inevitabile. Abbiamo bisogno di un’azione urgente e incisiva per proteggere i bambini in tutta la Cisgiordania e per impedire che tutto questo diventi la loro normalità”.
L’operazione militare israeliana è arrivata sei settimane dopo che la Corte internazionale di giustizia (CIG) – la più alta corte delle Nazioni Unite – ha dichiarato che la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati è illegale. Save the Children fornisce servizi essenziali e supporto ai bambini palestinesi nei Territori palestinesi occupati dal 1953. Nelle aree del nord della Cisgiordania colpite dall’ultima escalation di violenza, fornisce assistenza economica alle famiglie, sostegno all’istruzione per i bambini, gli insegnanti e gli assistenti, e collabora con i partner, tra cui l’YMCA, per fornire supporto psicosociale ai bambini e agli assistenti.