Medio Oriente, Netanyahu e Gallant ai ferri corti. Il primo ministro vuole attaccare il Libano, ma il ministro della Difesa frena e ora rischia il posto

Medio Oriente, Netanyahu e Gallant ai ferri corti. Il primo ministro vuole attaccare il Libano, ma il ministro frena e ora rischia il posto

Medio Oriente, Netanyahu e Gallant ai ferri corti. Il primo ministro vuole attaccare il Libano, ma il ministro della Difesa frena e ora rischia il posto

Da un lato, la guerra nella Striscia di Gaza continua senza sosta; dall’altro, crescono le tensioni nel governo israeliano, diviso tra chi vuole allargare il conflitto al Libano per infliggere un duro colpo ad Hezbollah e chi, al contrario, teme che questa mossa possa mettere a rischio l’esistenza stessa di Israele. Passano i mesi, ma il conflitto in Medio Oriente sembra sempre più vicino a esplodere in un’escalation incontrollata.

Osservato speciale resta il fronte nord, dove da settimane si assiste a un aumento dei combattimenti tra le milizie filo-iraniane libanesi e l’esercito dello Stato ebraico. Su questo fronte si sta consumando uno scontro fratricida all’interno del governo di Benjamin Netanyahu, con il primo ministro e gli alti papaveri dell’esercito che vorrebbero lanciare una massiccia offensiva nel Paese e il ministro della Difesa, Yoav Gallant, che continua a prendere tempo, cercando di fare il possibile per evitare il disastro.

La faida interna sull’attacco a Hezbollah

Che la tensione a Tel Aviv sia alta lo si capisce proprio da quanto accaduto nelle ultime ore: Gallant, in una conversazione telefonica, diffusa dai media israeliani, ha detto al segretario per la Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, che il tempo per giungere a una soluzione diplomatica con Hezbollah “sta scadendo”. “Hezbollah continua a legarsi ad Hamas: la direzione è chiara”, ha spiegato il ministro della Difesa dello Stato ebraico, aggiungendo che gli Stati Uniti e il resto del mondo libero “devono fare di più per evitare l’allargamento del conflitto”.

Questa posizione, non concordata, ha fatto infuriare il leader di Tel Aviv, che soltanto sabato scorso, secondo il canale tv Channel 13, aveva manifestato l’intenzione di espandere l’operazione militare sul fronte settentrionale, al punto che starebbe addirittura pensando di licenziare Gallant. Proprio Hezbollah, ben conscio dei conflitti interni all’esecutivo di Tel Aviv, continua a lanciare provocazioni nel tentativo di far scoppiare una crisi di governo.

Lo sheikh Abdelkarim Abid, membro del consiglio esecutivo del partito armato libanese, dopo l’ennesimo botta e risposta militare con lo Stato ebraico, ha tuonato: “Il nemico israeliano può essere affrontato solo attraverso la resistenza. La caratteristica principale (di Israele) è uccidere bambini e donne, perché è incapace di affrontare gli uomini sul campo di battaglia. Non importa quanto durerà l’aggressione sionista perché questa non minerà la volontà del popolo libanese e palestinese, né tantomeno la tenacia di Gaza, della Cisgiordania, del sud del Libano”.

Medio Oriente, il fronte caldo è quello con il Libano

Dell’Asse della Resistenza fanno parte anche i ribelli yemeniti Houthi che, dopo mesi passati a lanciare attacchi alle navi in transito nel Mar Rosso, hanno alzato il tiro lanciando un missile ipersonico che ha superato Iron Dome, il sistema difensivo di Israele. Un attacco che, fortunatamente, non ha causato vittime, ma ha gettato nel panico l’intera popolazione civile, con le sirene che sono risuonate anche all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Un attacco che è stato elogiato da Hamas e Hezbollah, che all’unisono hanno applaudito alla “decisione coraggiosa della leadership yemenita che costituisce un’autentica espressione della volontà unitaria dell’Asse della Resistenza di continuare su tutti i fronti a sostenere il popolo palestinese e a fermare il genocidio a Gaza”.

Il raid è arrivato in risposta all’ennesimo bombardamento israeliano sul campo profughi di al-Nuseirat, nella parte centrale della Striscia di Gaza, che ha causato almeno dieci morti, principalmente donne e bambini, e il ferimento di altre 15 persone. “Un atto barbaro”, come definito dal sottosegretario per gli Affari diplomatici dell’Oman, sheikh Khalifa bin Ali bin Issa Alharthy, che mette fine al processo di normalizzazione delle relazioni con Israele.

“La cosa più importante in questo momento non è se ci sarà o meno una normalizzazione, ma come raggiungere una soluzione alla questione palestinese e garantire i diritti dei palestinesi”, ha affermato il sottosegretario, aggiungendo che l’Oman si sta concentrando sulla creazione di un’unità araba e musulmana a sostegno dei palestinesi, in quanto “le tensioni in Medio Oriente sono dovute alla guerra genocida condotta da Israele contro i palestinesi” che deve cessare “immediatamente”.