Le minacce sempre più dirette e terribili contro Israele non lasciano nessuno spazio alla speranza. Da Teheran a Hezbollah il dolore per gli attacchi senza fine a Gaza e per l’attentato con oltre cento morti in Iran si è trasformato in voglia di vendetta. E null’altro. Nessun appiglio, dunque, per l’ultimo disperato tentativo del segretario di Stato americano, Antony Blinken, corso in Medio Oriente per cercare una tregua.
L’Iran promette vendetta per l’attentato alle celebrazioni del generale Soleimani. Pronto allo scontro pure Hezbollah
“Se Israele sconfigge Gaza, il Libano del Sud sarà il prossimo. La battaglia di oggi non riguarda solo la Palestina”, dice chiudendo i giochi il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che promette: “Risponderemo all’attacco di Israele a Beirut, è inevitabile”. Il riferimento è all’attacco aereo che mercoledì scorso ha ucciso nel quartiere di Musharafieh il numero due di Hamas, Saleh Arouri, e altri sei membri del gruppo militante palestinese. “Sarà il terreno di battaglia a parlare. E il terreno di battaglia non può aspettare”, ha detto Nasrallah.
Blinken, che ieri è arrivato in Turchia e lunedì dovrebbe recarsi in Israele e Ramallah (in Cisgiordania), ha davanti una missione impossibile. A nulla sono servite le smentite di un coinvolgimento di Washington e Tel Aviv nella strage durante le celebrazioni in memoria del generale Qassem Soleimani, peraltro rivendicata dall’Isis. Per il governo iraniano l’attentato è comunque effetto dell’escalation innescata da Israele nei quasi tre mesi seguiti all’azione terroristica di Hamas del 7 ottobre. Quasi tre mesi, ormai, di raid dal cielo e da terra sulla striscia di Gaza ridotta in un cimitero, con più di 22.600 vittime.
Netanyahu non intende concedere una tregua finché Hamas avrà in mano decine di ostaggi
L’unica possibilità di raffreddare gli animi sta dunque in una tregua, che però il leader israeliano Benjamin Netanyahu non intende concedere, perlomeno fin quando Hamas avrà in mano decine di ostaggi. La guerra dunque va avanti mentre in tutto il mondo arabo si contano manifestazioni a sostegno della causa palestinese, con addirittura milioni di persone in strada nello Yemen, secondo quanto riferito da alcuni media, e decine di migliaia in Giordania.
Tutta l’area, quindi, è una polveriera, e a tenere la miccia è più che mai l’Iran. Per il presidente iraniano Ebrahim Raisi (nella foto) un eventuale conflitto “sarà la fine di Israele”. E comunque l’operazione “Diluvio di Al Aqsa” (come Hamas ha chiamato gli attacchi del 7 ottobre) porterà alla “fine del regime sionista”. Una fine dalla quale non si salvano gli americani, a cui il regime di Teheran addebita platealmente l’esistenza dell’Isis. “Lo Stato islamico è una creatura degli Usa e del regime sionista, che hanno cercato di fondare una nuova Israele in Siria e Iraq sotto le sembianze di un Califfato islamico, ma il loro piano è stato sventato da Soleimani, il comandante dei Pasdaran iraniani che in effetti ebbero un ruolo decisivo nella sconfitta finale dell’organizzazione terroristica.
Dunque le smentite Usa su un loro zampino dietro le bombe al cimitero di Soleimani, a Kerman, sono respinte al mittente. “Gli americani, il regime sionista e i loro agenti nella regione provano rancore verso Soleimani”, ha detto Raisi, che perciò addebita comunque una responsabilità “morale” agli Stati Uniti per l’attentato tra la folla dei pellegrini che si recavano alla tomba proprioo di Soleimani nel quarto anniversario della sua uccisione in un raid americano all’aeroporto di Baghdad.
A queste accuse non segue però alcuna prova di un coinvolgimento nell’attentato da parte della Cia o del Mossad. Anzi, ieri sono la polizia iraniana ha arrestato undici persone accusate di aver partecipato alla strage. Arresti che però non hanno fermato le minacce di una ritorsione verso gli Usa e soprattutto Israele.