Passano i mesi, ma non accenna a diminuire la scia di sangue in Medio Oriente. Come accade ormai da tempo, l’esercito israeliano (Idf) ha condotto una lunga serie di attacchi nella Striscia di Gaza, in Libano, in Siria e in Iraq, causando un numero imprecisato di morti e feriti. Tuttavia, più l’offensiva dello Stato ebraico aumenta in intensità e potenza, più si registrano aperture da parte dei vari gruppi combattenti filo-iraniani a negoziare la fine del conflitto, che a questo punto sembra dipendere esclusivamente dalle decisioni di Benjamin Netanyahu.
Il leader dello Stato ebraico, nonostante Hamas ed Hezbollah abbiano dichiarato più volte di essere pronti a siglare un accordo di cessate il fuoco, non sembra ancora disposto a chiudere la partita. Lo dimostrano i continui raid che hanno colpito soprattutto la Striscia di Gaza, dove in appena 24 ore la furia dell’Idf ha causato “almeno 50 vittime civili”, e il Libano.
Qui le forze armate di Israele avrebbero lanciato una serie di attacchi aerei contro la periferia meridionale della capitale libanese, Beirut, questa volta, secondo l’agenzia stampa libanese Nna, “senza alcun preavviso di evacuazione da parte delle forze israeliane”. Durante uno di questi blitz, l’area circostante il sito religioso sciita di Husseiniyat al Zahraa, nel centro di Beirut, è stata colpita con due missili, causando la morte di quattro persone e il ferimento di altre 18.
Medio Oriente, Hezbollah accetta la proposta di tregua degli Usa e lancia la palla nel campo di Netanyahu. Ma Tel Aviv prende tempo
L’ampliamento delle operazioni in Libano da parte dell’IDF non sembra casuale. Nel Paese mediorientale è infatti atterrato da poche ore Amos Hochstein, inviato di Joe Biden, incaricato di condurre importanti incontri diplomatici per un accordo di cessate il fuoco tra Libano, Hezbollah e Israele. “Dal mio ultimo viaggio a Beirut di qualche settimana fa, abbiamo avuto colloqui molto costruttivi con il presidente del parlamento del Libano, Nabih Berri, e abbiamo continuato a ridurre i divari attraverso discussioni che vanno avanti da settimane. In particolare, oggi abbiamo fatto progressi significativi”, ha dichiarato Hochstein, aggiungendo chiaramente che ora “abbiamo una reale opportunità di porre fine a questo conflitto”.
Un segnale positivo arriva dal fatto che Libano ed Hezbollah hanno ufficialmente accettato una proposta degli Stati Uniti, chiedendo solo piccoli correttivi che, secondo le autorità di Beirut, sono “in linea con la risoluzione Onu 1701”. Ma non è tutto. Un ulteriore indizio di un possibile cambiamento è dato dal leader di Hezbollah, Naim Qassem, che aveva annunciato un discorso di fuoco, salvo poi fare marcia indietro poco prima di andare in onda, rinviandolo “sine die”.
Anche se le motivazioni di questo slittamento non sono chiare, un funzionario statunitense coinvolto nel dossier mediorientale ha dichiarato ai media che ciò potrebbe indicare che l’accordo di pace “è più vicino che mai”, e che tutto dipende dalla risposta che darà Netanyahu.
Botta e risposta
Mentre, almeno per quanto riguarda il Libano, il conflitto sembra avvicinarsi a una svolta, un nuovo motivo di tensione emerge dal consueto botta e risposta tra il primo ministro israeliano e la Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei. Con una mossa percepita come provocatoria, Netanyahu ha rivelato pubblicamente che, durante l’attacco israeliano contro l’Iran del 26 ottobre scorso, “l’Idf ha duramente colpito le capacità di difesa e di produzione di missili” del regime di Teheran. Non soddisfatto, ha aggiunto, secondo quanto riportato dal quotidiano Times of Israel, che “non è un segreto” che durante lo stesso raid “una componente specifica del loro programma nucleare militare è stata colpita e distrutta”.
A queste dichiarazioni ha risposto a distanza Khamenei, definendole “fake news” e ribadendo che “l’Iran si riserva il diritto di reagire a tempo e modo debito” agli attacchi missilistici contro i suoi siti militari. Queste parole di fuoco, se dovessero trasformarsi in azioni concrete, rischiano di aprire un nuovo fronte di guerra, con conseguenze devastanti per l’intero Medio Oriente.