Dopo otto mesi di sanguinosa guerra a Gaza e nel Medio Oriente, si riaccendono – seppur flebilmente – le speranze di giungere alla pace in Medio Oriente. A segnare la svolta è stata la proposta di accordo presentata dal presidente americano Joe Biden per arrivare al cessate il fuoco e allo scambio contestuale di ostaggi israeliani ancora in mano ai terroristi di Hamas e di prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Un piano che, secondo il ministro egiziano degli Esteri Sameh Shoukry, “Hamas ha accolto positivamente”, chiedendo agli USA di fare da garanti dell’eventuale tregua e aggiungendo che “ora aspettiamo la risposta di Israele”.
Insomma, tutto lascerebbe pensare a una felice conclusione del negoziato. Peccato che le cose rischino di essere ben più complesse, perché il governo di Benjamin Netanyahu, malgrado una timida apertura in cui si è specificato che la pace può avvenire solo con la sconfitta di Hamas, appare spaccato. Come facilmente intuibile, a puntare i piedi sono stati i ministri di estrema destra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che hanno immediatamente riunito i rispettivi partiti per discutere dell’eventuale uscita dall’esecutivo, il che decreterebbe una crisi di governo con il successivo ritorno alle urne.
Governo spaccato sulla proposta di pace americana per il Medio Oriente
Consultazioni che hanno mandato in fibrillazione il primo ministro Netanyahu, che ha subito invitato il ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir a un faccia a faccia, di cui ha dato conto il quotidiano Israel Hayom, per mostrargli la bozza della proposta di accordo che non sarebbe affatto “irresponsabile”, come definita dal leader dell’estrema destra israeliana durante il vertice, visto che non conterrebbe alcuna clausola che obblighi Tel Aviv a porre fine ai combattimenti.
Se possibile, ancor più tesa è la situazione con il ministro israeliano delle Finanze Smotrich che, dopo aver parlato con il primo ministro Netanyahu, ha tenuto una serie di incontri con i rabbini associati al suo partito ‘Sionismo religioso’, ribadendo di aver ufficialmente annunciato a Bibi la sua intenzione di uscire dalla coalizione di governo in caso la nuova proposta fosse stata accettata.
Altri raid in tutta la Striscia, cresce la tensione in Medio Oriente
Un accordo di pace su cui, in modo del tutto inatteso, sta frenando anche il ministro della Difesa Yoav Gallant. Quest’ultimo, incalzato dal segretario di Stato americano Antony Blinken affinché accetti l’accordo che “promuoverebbe gli interessi di sicurezza a lungo termine di Israele” e aprirebbe la possibilità “per una maggiore integrazione nella regione”, ha spiegato che “Israele è impegnato nella restituzione degli ostaggi e la considera non solo una responsabilità morale superiore, ma anche una priorità nel calendario della guerra. Intendiamo fare tutto il necessario per esaurire ogni opportunità di raggiungere l’obiettivo”.
Poi, però, ha aggiunto che “Israele è determinato a smantellare Hamas e a trovare un’alternativa per governare Gaza”. Si tratta di una posizione inconciliabile con la proposta di pace del presidente americano e che dimostra come la trattativa richieda ancora altro tempo. Quel che è certo è che, mentre si parla di una possibile tregua, nella Striscia di Gaza – e non solo – continuano a cadere missili e bombe. Oltre ai quotidiani scambi di artiglieria con Hezbollah, le milizie sciite operative in Libano, a fare rumore è il nuovo raid dell’aviazione dello Stato ebraico su Aleppo in Siria, dove è stata presa di mira una fabbrica di armi in cui hanno perso la vita almeno 16 persone.
A riferirlo è l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, che segnala anche numerosi feriti, molti dei quali in gravi condizioni. Ma la situazione peggiore resta quella che si registra nella Striscia di Gaza, dove l’esercito di Netanyahu ha messo nel mirino i campi profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia, e quelli di Khan Yunis e Bureij nel sud. Attacchi in cui, secondo le autorità palestinesi, hanno perso la vita almeno 12 persone tra cui donne e bambini. Combattimenti che si registrano anche a Rafah, dove ormai si combatte strada per strada.
Come se non bastasse, ad aumentare la tensione ci si è messo il Parlamento israeliano, che ha approvato in via preliminare un progetto di legge – scatenando le proteste del mondo arabo – che designa l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) come “organizzazione terroristica”. Un provvedimento che, spiegano i diplomatici del Qatar, finirebbe per privare l’Unrwa “dell’immunità diplomatica e criminalizzare le sue attività”, per giunta nel momento in cui “il bisogno dei suoi servizi umanitari è massimo a causa delle conseguenze catastrofiche della guerra in corso nella Striscia di Gaza”.