Prima la guerra in Ucraina, poi quella tra Armenia e Azerbaijan, quindi i golpe in Africa e, in ultimo, il conflitto tra Israele e Hamas. Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica presso l’Università de La Sapienza, che cosa sta accadendo?
“L’impressione che tutti abbiamo è che ci siano diversi player e che non ci sia una regia coordinata tra tutti questi eventi. Inoltre rilevo, ma non sono l’unica a farlo, è che stia mancando una governance internazionale. Questo fa sì che ogni potenza che ha un ruolo rilevante nella politica mondiale, sentendosi libera di agire indisturbatamente, stia esercitando il proprio potere guardando esclusivamente ai propri interessi e questo, secondo me, è qualcosa di estremamente preoccupante”.
Tra tutti questi eventi vede qualche collegamento oppure sono slegati tra loro?
“Trovo difficile dire in che misura questi eventi siano collegati tra loro. Mi sento di dire che sono collegati da tanti motivi diversi. Per esempio vedo elementi in comune tra la guerra in Ucraina e quella nel Nagorno-Karabakh perché è evidente un problema di coabitazione tra i popoli e anche di ingegneria demografica o addirittura di ingegneria etnica che si vuole imporre con la forza. Un principio aberrante e che in nessun modo può essere accettabile. Complessivamente mi sembra chiaro che siamo entrati in una nuova epoca storica dove è evidente la crisi dell’Occidente, o per meglio dire dei due occidenti, da una parte quello americano che persegue i suoi interessi con fortune alterne e dall’altra quello europeo che non riesce a stare al passo a causa di una mancanza di governance e di una visione politico-strategica. Una debolezza che per l’Europa si traduce nell’incapacità totale di rispondere a questi eventi tragici e che si succedono con una rapidità sconcertante. Quello che mi è chiaro è che non possiamo andare avanti con un 5 per cento della popolazione mondiale che continua a vivere nel benessere e un 95 per cento che versa in stato di povertà e arretratezza. Vedo un enorme problema legato a un modello di sviluppo che non è più sostenibile ma nessuna idea su come superarlo”.
A suo parere se non ci fosse stata la guerra in Ucraina, ci troveremmo ugualmente davanti a questo traballante scenario internazionale?
“Onestamente credo di no e l’avevo detto e scritto nei primi giorni del conflitto in Ucraina. Già in quei momenti concitati mi era sembrato chiaro che si stesse aprendo una gigantesca faglia, scatenata da un terremoto bellico, all’interno dell’Europa e questa, secondo me, è stata gravemente sottovalutata. Una spaccatura ignorata che si è aggravata nel tempo, creando una serie di ulteriore scosse telluriche che hanno gettato l’intero ordine mondiale nel caos. Insomma vedo pesanti responsabilità della dirigenza europea che, a mio avviso, se fosse intervenuta per tempo attraverso iniziative diplomatiche per impedire il disastro in Ucraina, allora queste ripercussioni che stiamo iniziando ad avvertire e che sono l’inizio di una nuova pericolosa e difficile fase del mondo, allora probabilmente si sarebbe potuta evitare”.
Dopo l’azione di Hamas, l’esercito israeliano ha annunciato un blocco totale a Gaza. Quindi niente energia, cibo e acqua per oltre 2 milioni di palestinesi. Ma colpendo cittadini che nulla hanno a che fare con Hamas, non si rischia di perpetuare all’infinito questa spirale di odio che infiamma il medio oriente?
“Inanzitutto vorrei dire che quello che abbiamo visto a partire da sabato è qualcosa che non ha precedenti. Qualcuno l’ha paragonato all’11 settembre ma secondo me è un paragone azzardato perché siamo davanti a qualcosa di completamente nuovo e al momento indecifrabile. È un attentato? Una guerra? Non sappiamo neanche come definirlo. Io parlerei di una sorta di guerra ibrida anche se dobbiamo rilevare che non siamo davanti a un conflitto tra due Stati ma tra uno Stato e Hamas, ossia un’organizzazione terroristica. Al netto di tutto ciò in questi giorni è emersa un’immagine diversa di Israele che non è quella fortezza che viene descritta ma è un Paese vulnerabile e per questo non dobbiamo sottovalutare il trauma che stanno vivendo i cittadini israeliani. Dobbiamo evitare di cadere in facili ma gravi errori come quello di identificare gli israeliani con Netanyahu o Israele come un Paese di destra, esattamente come non si può identificare il popolo palestinese con Hamas del quale, a mio avviso, è ostaggio. Siamo davanti a una situazione estremamente tragica e credo che spetti all’Europa – e soprattutto all’Italia – intervenire al fine di svolgere un ruolo di mediatori, capace di condurre in tempi brevi a uno scambio di prigionieri su cui costruire le premesse per una soluzione politica del conflitto. Se l’Europa abdicherà a questo ruolo, come al momento sembra colpevolmente fare, allora le ripercussioni sarebbero catastrofiche. Del resto sono convinta che non è con la forza che si possa risolvere una situazione del genere”.
Intanto si segnalano i primi botta e risposta tra Israele e Hezbollah in Libano e con la Siria. Siamo davanti a un’escalation del conflitto mediorientale?
“Purtroppo penso che il rischio sia abbastanza concreto. Questo perché sappiamo bene che dietro Hezbollah c’è la lunga mano dell’Iran che ha tutto l’interesse a far saltare gli accordi di Abramo che avrebbero potuto normalizzare i rapporti tra Israele e Arabia Saudita. Inoltre Hezbollah che fino ad ora ha tenuto una posizione attendista, è un alleato di ferro di Hamas e ha i suoi interessi nell’area. Tutte ragioni per le quali l’allargamento del conflitto è possibile e al contempo molto inquietante perché ci riguarda molto da vicino e non soltanto per la questione economica o per l’approvigionamento delle fonti energetiche, penso ai rapporti con l’Algeria, ma che rischia di diventare un evento destabilizzante per l’intera area del mediterraneo con effetti a lunto termine che sono del tutto imprevedibili”.