La vicenda dei carburanti sta diventando una vera propria telenovela con i passetti, due indietro e uno avanti, del governo. Il pugno duro mostrato da Giorgia Meloni da Algeri, alla vigilia della mobilitazione dei benzinai, si scioglie nella mano tesa dal suo ministro delle Imprese e del made in Italy. Adolfo Urso, a quattro ore dalla chiusura degli impianti, decide di convocare i sindacati.
Il premier Meloni non ci mette la faccia e il ministro Urso si gioca la sua. E lo sciopero dei benzinai resta
E dopo la precedente riunione di giovedì scorso in cui aveva già allentato la stretta sull’obbligo della comunicazione del prezzo medio regionale e sulle sanzioni previste nel decreto sulla Trasparenza sui prezzi dei carburanti, Urso prova, a parole, ad allentare ancora un po’. Ma neanche questo è sufficiente.
Del resto pare che la convocazione di Urso sia stata estemporanea, non preparata, al buio e senza contenuti da portare al tavolo tali da convincere veramente i benzinai a revocare lo sciopero. Un tentativo disperato insomma. Meglio comunque per la Meloni che l’abbia fatto Urso e non lei. O meglio una delle tre sigle sindacali, la Faib Confesercenti, che aveva peraltro già nei precedenti incontri manifestato maggiore disponibilità nei confronti del governo, ha deciso di ridurre lo sciopero – scattato ieri – a sole 24 ore mentre le altre due organizzazioni – Fegica e Figisc-Anisa Confcommercio – hanno confermato la serrata di 48 ore.
Il ministro ha auspicato in una nota “che siano ridotti i disagi per i cittadini”. Intanto, ha sottolineato, rimane l’obbligo di esposizione del prezzo medio regionale, a beneficio di tutti gli attori. “La presidenza nazionale Faib – si legge in una nota dopo lo scambio con Urso – ha valutato e ritenuto positive le aperture presentate e già formalizzate con un emendamento al decreto legge. In particolare, ci sembra un risultato importante la significativa riduzione delle sanzioni, la razionalizzazione della cartellonistica sugli impianti, la rapida convocazione di un tavolo di filiera per affrontare gli annosi problemi del settore, a partire dall’illegalità contrattuale e dal taglio dei costi per le transazioni elettroniche”.
Diversa la posizione espressa dagli altri due sindacati. “Il tentativo in extremis fatto dal ministro, peraltro apprezzato, non riesce ad intervenire con la necessaria concretezza – dichiarano Fegica e Figisc –Anisa Confcommercio – troppo poco e troppo tardi per revocare lo sciopero”.
L’annuncio dell’avvio del tavolo volto a ristrutturare la rete distributiva e ridare un piano regolatorio certo va nella direzione giusta e auspicata – scrivono i presidenti della Fegica, Roberto Di Vincenzo, della Figisc Bruno Bearzi e della Anisa Massimo Terzi – Ma le modifiche ipotizzate sul decreto, oltre a non essere sufficienti, sono ormai nelle mani del Parlamento. Quel che rimane sullo sfondo, sconti o non sconti sulle multe, cartelli o non cartelli da esporre – proseguono – è l’idea di una categoria di lavoratori che speculano sui prezzi dei carburanti. Il che è falso e inaccettabile.
Lo sciopero è quindi confermato. La nota si conclude con l’annuncio di una assemblea dei gruppi dirigenti delle organizzazioni di categoria che si terrà oggi presso la sala Capranichetta di Piazza Montecitorio aperta a deputati e senatori.
In mattinata sindacati e operatori del settore erano stati auditi sul decreto in Parlamento e avevano criticato fortemente il provvedimento del Governo. La Faib Confesercenti ha chiesto di correggere il decreto abrogando il cosiddetto cartellone, che serve a indicare il prezzo medio regionale, sostituendolo, con un Qr-code o un’App o con dispositivi luminosi a distanza “in modo da sgravare i benzinai già oggi oberati da obblighi di comunicazioni e di conseguenza depennare le ulteriori sanzioni che non avrebbero senso in mancanza di adempimenti”.
La Fegica ha auspicato il “ripristino della situazione quo ante” perché “se non si fosse soffiato sul fuoco tutto era già in linea con quanto già stabilito”. La categoria dei gestori degli impianti di carburante era “impossibilitata a modificare i prezzi di vendita in forza dei rapporti contrattuali ed economici con le compagnie proprietarie degli impianti fornitrici del prodotto – circostanza evidentemente non considerata dal Governo” e per questo “non poteva che reagire con la massima fermezza alla criminalizzazione a cui è stata ingiustamente sottoposta e ha proclamato lo sciopero”, ha spiegato Bearzi.
Assopetroli-Assoenergia, l’associazione che rappresenta le aziende proprietarie di oltre metà delle stazioni di servizio stradali in Italia, esprime “piena solidarietà ai sindacati”. Urso comunque fa sapere che il tavolo con i distributori di carburante “proseguirà in maniera continuativa fino a quando non verrà operato un completo riordino del settore. Al prossimo incontro in programma per l’8 febbraio saranno all’ordine del giorno le misure di contrasto alle illegalità contrattuali, il costo delle transazioni elettroniche e la riqualificazione e ristrutturazione della rete di distribuzione adattandola alle esigenze attuali”.
Intanto si registrano lievi aumenti dei prezzi di benzina: in modalità self a 1,846 euro/litro e gasolio 1,890 euro/litro. Sul servito per la benzina il prezzo medio praticato è 1,986 euro/litro, per il diesel è 2,031 euro/litro. E i consumatori denunciano nuove speculazioni. Il Codacons presenta un esposto per interruzione di pubblico servizio, mentre per Assoutenti lo sciopero è “voluto e ordinato dalle compagnie petrolifere contro la trasparenza sui prezzi”. L’Unione nazionale consumatori chiede che il Governo “faccia controlli a tappeto sullo sciopero”.