Nel remake del celebre romanzo di Robert Louis Stevenson, per la parte del protagonista, Matteo Salvini non avrebbe rivali. Perfetto per interpretare Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde, nella duplice veste del Matteo di lotta e del Salvini di Governo. Vestendo, nei giorni pari, la felpa del leader della Lega, che macina like su Facebook al grido “prima gli italiani”, che infiamma il suo elettorato chiudendo i porti (anche se chiuderli spetta al collega M5S Danilo Toninelli) e promettendo migliaia di rimpatri di clandestini. Prima che, nei giorni dispari, sia costretto a rimettersi la giacchetta da ministro e a fare i conti, dopo ogni fuga dalla realtà, con i vincoli del Contratto di coalizione da lui stesso sottoscritto.
Un copione più volte ripetuto nei primi sette mesi e spiccioli di Governo gialloverde. Come per la recente vicenda dei 49 migranti della nave Sea Watch, solo per citare uno degli ultimi casi: prima lo scatto in avanti (in Italia non ne entrerà nessuno), poi la frenata e la retromarcia (alla fine ne arriveranno una decina) dopo il solito vertice di chiarimento con l’alleato. E non è neppure l’ultimo caso. Perché nelle ultime 48 ore, il Matteo di lotta ha preso di nuovo il sopravvento sul Salvini di Governo.
Prima sul Tav. “Se ci fosse un referendum, non potremmo certo fermarlo”, si è affrettato a dichiarare non appena appreso che i tecnici incaricati dal ministero delle Infrastrutture hanno già consegnato una bozza preliminare dell’analisi costi-benefici alla quale è appeso il destino dell’opera. Nonostante, sul punto, il Contratto di Governo parli chiaro e di richiami al referendum non ci sia traccia: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione – recita a pagina 50 il documento – ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. Eppure il Matteo di lotta non ha esitato a salire sul treno del referendum messo in moto dal governatore (del nemico Pd) del Piemonte, Sergio Chiamparino.
Ma non finisce qui. A proposito di un altro referendum, quello contro le trivelle del 17 aprile 2016, Salvini ha cambiato radicalmente idea. Passando, di punto in bianco, dallo stop alle perforazioni in mare di quasi tre anni fa (“…La nostra ricchezza è il nostro paesaggio, l’agricoltura, il turismo, il mare e la pesca e non qualche buco nell’acqua”, assicurava, affilando le armi in vista della consultazione popolare) alle aperture degli ultimi giorni (“Ci tengo all’ambiente, ma la sua tutela va accompagnata allo sviluppo. Io ho votato il referendum per non scavare vicino alle coste ma non si può fermare un intero Paese, non si può dire sempre no”, ha ribadito ieri).
Una giravolta, anche in questo caso, contraddetta dalla lettera del Contratto di Governo. “Il nostro compito è quello di sostenere la ‘green-economy’, la ricerca, l’innovazione e la formazione per lo sviluppo del lavoro ecologico…. con l’obiettivo di ‘decarbonizzare’ e ‘defossilizzare’ produzione e finanza…”, si legge nel testo a pagina 10, checché ne dica Salvini. Non sarà che nell’eccessivo ricorso degli ultimi giorni alla politica dello stop and go da parte del segretario del Carroccio abbiano influito i recenti sondaggi? Di certo, anche quelli realizzati da Gpf per La Notizia, raccontano che, raggiunto il picco di consensi, da un paio di settimane la Lega ha smesso di crescere. E lo stesso vale per il gradimento degli elettori verso il suo leader. Di lotta o di Governo che sia.