Da un lato la premier Giorgia Meloni che nega – senza essere granché convincente – l’esistenza di uno scontro con le toghe, dall’altro il Capo dello Stato Sergio Mattarella che sembra pensarla molto diversamente tanto da aver sentito il bisogno di testimoniare la sua solidarietà alle toghe.
Il presidente della Repubblica, infatti, ha prima ricevuto al Colle i vertici della Cassazione, ossia la presidente Margherita Cassano e il procuratore generale Luigi Salvato, e dopo nemmeno 24 ore ha avuto un faccia a faccia con il presidente del Consiglio a margine del Consiglio supremo di difesa, a cui hanno partecipato anche i ministri degli Esteri, Antonio Tajani; della Difesa, Guido Crosetto; dell’Economia, Giancarlo Giorgetti; delle Imprese, Adolfo Urso; e il capo di stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone. Occasione che ufficialmente è servita per ricevere un aggiornamento sull’esito del vertice della Nato di Vilnius e sullo stato della guerra in Ucraina ma che è stata anche l’occasione per parlare dell’infuocato dossier giustizia.
I timori di Mattarella
Il timore del Colle, infatti, è che sia già iniziato uno scontro tra i poteri dello Stato che deve necessariamente rientrare. Anche perché Mattarella ha più di qualche dubbio sui passi che sta muovendo l’esecutivo in materia di giustizia, soprattutto in relazione alla legge che riformerà l’abuso d’ufficio e che è al momento in discussione alle Camere e su cui, da tempo, sono stati mossi appunti da giuristi. Criticità che il Quirinale spera vengano valutate dalla maggioranza così da apportare qualche correttivo al testo affinché rientri nei parametri stabiliti dall’Unione europea.
Questo perché l’abolizione tout court dell’abuso d’ufficio rischia di violare convenzioni e trattati sottoscritti dall’Italia in sede internazionale, nonché l’articolo 117 della Costituzione che ne impone il rispetto. Altro tema che sarebbe stato dibattuto nell’incontro tra Mattarella e Meloni è quello della famigerata nota di palazzo Chigi dei giorni scorsi, rivendicata dalla premier durante la conferenza stampa di Vilnus, in cui si accusavano i magistrati di fare campagna elettorale per le elezioni europee che si terranno l’anno prossimo. Un’accusa che il Quirinale non solo ritiene assolutamente infondata ma anche pericolosa, questo perché sottintende a una prevaricazione dei poteri che la Costituzione attribuisce alla magistratura. Per non parlare del nodo intercettazioni la cui nuova stretta annunciata dal governo desta non poche preoccupazioni al Capo dello Stato.
Riforme condivise?
Insomma sulla giustizia è alta la tensione e ne è la riprova il fatto che il presidente della Repubblica, a un mese dalla presentazione del ddl di riforma penale da parte del guardasigilli Carlo Nordio, non ha ancora autorizzato la trasmissione alle Camere. Che alla fine la firma arriverà è più che certo ma è altrettanto evidente che questo prendere tempo è un segnale al governo per far capire che riforme tanto importanti devono essere condivise e non portate avanti a colpi di maggioranza, come purtroppo sta accadendo dall’inizio di questa legislatura. Modus operandi che non sembra destinato a cambiare visto che Carlo Nordio, lasciando ben poco spazio alle interpretazioni, ha detto in modo molto chiaro: “Mi inchino agli orientamenti del Quirinale. Trattandosi di un ddl, il transito al Colle è atto dovuto: non è un decreto legge che debba avere il placet”.