Su La Notizia non mancherà mai spazio per le riflessioni di Paolo Di Mizio (qui l’articolo di oggi), quando siamo d’accordo e soprattutto quando non lo siamo. E questo non solo perché Paolo è da anni uno dei collaboratori più stimolanti di questo giornale, quanto per la non comune capacità di documentarsi prima di scrivere i suoi pezzi e le apprezzatissime risposte alle lettere dei nostri lettori.
Sulla vicenda ucraina però non la pensiamo allo stesso modo, o per lo meno non siamo d’accordo essenzialmente su un aspetto: per quante giustificazioni possa avere Putin – a mio avviso – con l’invasione di uno Stato sovrano si è messo a prescindere dal lato sbagliato della storia. Nulla da eccepire, dunque, sulle provocazioni della Nato e americane che hanno portato a questo conflitto, per non parlare dell’ennesima incapacità di contare qualcosa da parte dell’Europa.
L’effetto di tutto questo è la guerra con le brutalità da una parte e dall’altra. Ma la guerra non è un fenomeno naturale, come un lampo o un terremoto: ha sempre qualcuno dietro che preme il bottone, e nel caso ucraino, per quanti eccidi possano essere stati commessi dalle milizie para-naziste del Battaglione Azov nelle regioni filorusse di confine, o per qualsiasi altra ragione, nulla giustificherà mai un’azione militare su larga scala come quella ordinata da Mosca.
Con questa invasione, infatti, si è innescato un moltiplicatore infinito di brutalità, che rischia di segnare per decenni la storia dell’intera Europa. Una frattura dentro la quale stiamo tutti precipitando, e non solo perché ne paghiamo il conto dal punto di vista della bolletta energetica e della ricaduta delle sanzioni. La propaganda – da una parte e dall’altra – ci sta nascondendo la realtà dei fatti, spingendo milioni di persone a radicalizzare i loro preconcetti e a non credere più a nient’altro.
Pertanto il compito di chi fa informazione indipendente, libera da condizionamenti politici ed economici, è più delicato che mai, e pretende il massimo del coraggio nel raccontare quanto accade, senza cedere alle nostre personali convinzioni, né alle pulsioni degli stessi lettori, che si aspettano la conferma delle loro certezze prima di qualunque altra cosa.
Massacro di Bucha, i cadaveri erano già lì diversi giorni prima che le truppe russe abbandonassero la città
Così da quando scrivo che gli orrori provocati dai soldati russi vanno oltre i crimini contro l’umanità, i tifosi dello zar mi accusano di tutto, a partire dalla scemenza di essere al servizio della Nato. In realtà, anche grazie al mio ruolo di direttore, ho potuto vedere documenti classificati, fotografie e altro materiale riservato (come le foto satellitari pubblicate successivamente dal New York Times) che lasciano poco spazio ai dubbi, a partire dalla presenza dei cadaveri sulle strade di Bucha (leggi l’articolo) diversi giorni prima che le truppe russe abbandonassero la città.
Tra i tanti corpi – che non sono attori o manichini – c’è pure qualcuno con al braccio la fascia bianca usata dagli ucraini che collaborano con i russi (i soldati di Kiev portano la fascia celeste), e che pertanto potrebbero essere stati colpiti dopo la liberazione della città. Ma il grosso della strage risale ai giorni in cui l’area era occupata, come potrà sicuramente documentare una commissione indipendente. Brutalità che hanno generato altri orrori, come avviene sempre nelle guerre. E chi le comincia non può non assumersene la responsabilità.