Brutte notizie per i cantori dei “giovani sfaticati”, per la solita sfilata prima dell’estate dei ristoratori televisivi che lamentano di non trovare dipendenti e anche per i detrattori del Reddito di cittadinanza sempre pronti a dimostrare che il mercato del lavoro sarebbe fermo per colpa di qualche spicciolo pensato per offrire dignità ai disperati: arriva proprio nel pieno del periodo lamentizio la notizia dell’arresto dell’imprenditore e chef Giovanni Maspero, noto per il suo ristorante stellato in centro a Como (“I Tigli in Teoria”) accusato di avere sottratto qualcosa come 107 milioni di euro e ora ai domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta per distrazione e frode fiscale.
Lo chef Giovanni Maspero è accusato di avere sottratto 107 milioni di euro al Fisco
Maspero, secondo l’accusa, avrebbe distratto 17,6 milioni di euro da una sua srl in favore di altre 10 società che sarebbero comunque riconducibili a lui. È accusato di autoriciclaggio per 3,3 milioni di euro secondo la Guardia di Finanza avrebbe messo in atto un “reiterato e sistematico inadempimento” delle obbligazioni tributarie e previdenziali a partire dal 2012.
Lo sviluppo delle indagini, spiega la Guardia di Finanza nel suo comunicato, “ha accertato una contestata distrazione, in favore proprio o di altre società riconducibili all’indagato, della liquidità originata dal mancato versamento delle imposte con la susseguente sistematica falsificazione dei bilanci d’esercizio attribuendo alle somme distratte la natura di (inesistenti) crediti finanziari”.
Maspero tuonava contro l’ex premier Conte per le riaperture. Adesso è ai domiciliari
Sarebbe curioso se Maspero (che ovviamente è innocente fino all’eventuale condanna definitiva) fosse ancora pronto a piangere miseria e ad additare i giovani che non vogliono lavorare, sarebbe curioso sapere se quando due anni fa tuonava contro il Governo Conte dicendo che “riaprire non significherà ripartire perché ormai la stagione estiva è compromessa” fosse già consapevole della reale situazione di difficoltà della gran parte degli italiani che non ha avuto modo di accumulare milioni di euro ma ha dovuto preoccuparsi di arrivare alla fine del mese.
Ma soprattutto questa vicenda, al di là di come andrò a finire, disegna perfettamente lo scollegamento tra la vita reale e certa narrazione di questo Paese: mentre gli imprenditori tuonano sui giornali e nelle televisioni lamentando l’impossibilità di trovare schiavi che siano disposti a fare gli schiavi, i lavoratori si ritrovano stritolati da condizioni di lavoro che non permettono nemmeno una dignitosa sopravvivenza.
Due anni fa l’indagine di RestWorld in collaborazione con Occa (community che raccoglie oltre 160mila addetti ai lavori del settore Ho.Re.Ca) pubblicata su Gambero Rosso ci diceva che su un campione di 3.471 persone di età compresa tra i 20 e i 40 anni, ci diceva che il 91% aveva avuto esperienze di lavoro in nero nel campo della ristorazione e che il 54% denunciava forme di irregolarità, anche parziali, nel proprio contratto.
Addirittura il 68% degli imprenditori aveva ammesso di avere fatto ricorso nella propria carriera a manodopera irregolare e il 37% dichiarava di perseverare sulla strada dell’irregolarità. In un Paese serio con un responsabile senso delle proporzioni non dovremmo sorbirci ogni primavera i paternalismi dei Briatore di turno ma avremmo stampa e politici impegnati pancia a terra per discutere e risolvere degli 80,6 miliardi di euro che nel 2019 (ultima annualità disponibile secondo il tax gap elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) di evasione fiscale che stritolano questo Paese ben più della presunta (e mai dimostrata dai numeri) indolenza dei giovani lavoratori.
Piuttosto potremmo dedicarci alla stortura per cui sono i dipendenti (pubblici e privati) l’unica categoria tassata senza permettere furbizie mentre i cosiddetti “imprenditori” (senza generalizzare, ovviamente) sono ottimi moralisti ma pessimi pagatori di tasse. Se c’è una questione morale in questo Paese non la trovate nella mollezza dei lavoratori ma nelle tasche di chi persegue un’imprenditoria senza etica (e in più moralista) che nessun partito (e tantomeno questo Governo) sembra aver voglia di toccare.
I cosiddetti furbetti del Reddito di cittadinanza (da condannare, sia chiaro) sono costati allo Stato 174 milioni in due anni. Ora provate a pensare alle cifre di un solo presunto “furbetto” dell’imprenditoria, pensate agli 80 miliardi e traete le conclusioni su quale sia la vera malattia dello Stato. Ci sono furbetti e furbetti: prendersela con i piccoli per coprire le spalle ai grandi è un gioco facile, vigliacco e immorale.