Non solo vedove, invalidi e anzianissimi in grave difficoltà economica. A invocare la sospensione cautelare della delibera taglia-vitalizi a Montecitorio sono stati anche avvocati milionari, poltronisti di grido, docenti universitari ed ex ministri. Tutti pronti a rivendicare, malgrado redditi da star negli anni precedenti, fino all’ultimo spiccio della pensioncina di Stato. Motivazione lacrimevole: il vitalizio sarebbe la loro principale o “consistente fonte di sostentamento”.
I nomi? La Notizia ne ha individuati alcuni grazie alla sentenza depositata il 22 aprile dal Consiglio di Giurisdizione della Camera presieduto da Alberto Losacco, Pd, che insieme a Stefania Ascari, M5S, e Silvia Covolo, Lega, ha dato una prima risposta sui 1.398 ricorsi contro la riforma di bandiera dei 5 Stelle. Ben 152 ricorrenti avevano presentato anche istanza cautelare per sospendere l’applicazione del taglio in attesa del giudizio di merito. Ed è proprio tra questi che spicca Giancarlo Innocenzi Botti, già dirigente Mediaset, sottosegretario alle comunicazioni nel Berlusconi II, componente dell’Agcom (ricordate il Trani-gate?) e presidente di Invitalia dal 2010 al 2015 (ultimo compenso noto: 175 mila euro). Oggi ha 75 anni ed è ancora in pista come presidente di Serenissima Sgr, società di gestione del risparmio controllata dalla Centrale Finanziaria di Giancarlo Elia Valori e Tarak Ben Ammar. Eppure, a dar retta alle carte, quel piccolo vitalizio maturato in due anni da parlamentare, 3.108 euro lordi ora ridotti a 1.900 (-40%), rappresenterebbe per lui “una consistente fonte di reddito”.
Idem per Giuseppe Consolo, 72 anni, tre mandati tra Camera e Senato con An e Pdl: l’ avvocato, che con 3.288.292 euro nel 2006 era al secondo posto, dopo Silvio Berlusconi, nella classifica dei paperonidi Palazzo Madama, non ha digerito il taglio del vitalizio – definito nell’istanza proprio “una consistente fonte di reddito” – da 6.468 euro a 5.049 lordi. Quanto ad Ernesto Stajano, 67 anni, ex magistrato ed ex membro del Csm, docente di diritto e avvocato cassazionista con solidi rapporti nel mondo delle autostrade (oggi è impegnato a difendere la Napoli-Salerno davanti al Consiglio di Stato) per lui il vitalizio di 4.725 euro lordi (tagliati a 3.370) costituirebbe addirittura “il principale sostentamento”. Il Consiglio di Giurisdizione non ha avuto dubbi: istanze cautelari respinte per tutti e tre.
Ma non è andata meglio a chi ha fatto domanda di sospensione contro tagli minimi, di poche centinaia di euro, in nome del “danno patito” o di impegni finanziari precedenti. Ne sa qualcosa Antonio Marzano (nella foto), classe 1935 anni, economista, docente universitario, tessera numero 9 di Forza Italia: l’ex ministro alle Attività produttive del governo Berlusconi ha sostenuto di aver patito un danno per aver “rinunciato al prosieguo della propria carriera accademica anche sul presupposto della corresponsione del vitalizio”. Il danno, secondo la Camera, in realtà è tutto da dimostrare. E in effetti tanto male nella vita non sembra essergli andata: lasciata la poltrona di ministro (reddito 2002: 320 mila euro), è diventato presidente del Cnel e lì è rimasto per 10 anni, dal 2005 al 2015, con un compenso di 217mila euro l’anno.
A ciò, secondo il Sole 24 ore, aggiungeva “una pensione universitaria da 76mila euro lordi”. Quanto al vitalizio per i due mandati da deputato, ha subito un taglio solo del 15 per cento, 685 euro (sempre lordi). Ancora meno – appena 423 euro lordi – hanno tagliato a Paolo Guzzanti, quasi 80 anni e tre mandati parlamentari alle spalle. Eppure anche il giornalista, conduttore tv e autore di una dozzina di libri (300.028 euro il reddito dichiarato nel 2008), è insorto contro la riduzione dell’assegno. Motivo? Il vitalizio – sceso da 6.950 a 6.526 euro – gli sarebbe stato necessario per intero, così da “coprire gli oneri di alcuni impegni assunti”.