Martina Patti, perché ha ucciso la figlia: ecco quali potrebbero essere state le cause e le situazione che avrebbero spinto la donna a compiere un gesto di tale tragedia.
Martina Patti, perché ha ucciso la figlia Elena
Elena Del Pozzo è stata uccisa dalla madre Martina Patti, 23 anni. La donna ha confessato l’omicidio durante il secondo interrogatorio che si è svolto in Procura dopo il ritrovamento del corpo della bambina di appena quattro anni nelle campagne di Mascalucia, a Catania.
Nel corso dell’interrogatorio, la 23enne ha ammesso di aver assassinato la figlia ma non ha proferito parola sul movente che l’ha spinta a compiere l’atroce gesto. Intanto, gli inquirenti stanno indagando al fine di ricostruire le dinamiche familiari che potrebbero essere alla base dell’omicidio. In considerazione delle informazioni sinora raccolte, la piccola Elena è nata dalla relazione che Martina Patti ha avuto con il suo compagno dell’epoca, Alessandro Del Pozzi. Al momento della nascita della bimba, la donna aveva soltanto 18 anni.
La relazione tra Patti e Del Pozzo, tuttavia, si era conclusa poco dopo il parto in quanto la 23enne aveva deciso di cominciare una relazione con un’altra persona. In seguito alla separazione, il padre di Elena si è trasferito dapprima in Germania per poi fare ritorno in Sicilia dove ha incontrato la sua attuale compagna. Quest’ultima evoluzione avrebbe fatto scattare in Martina una sorta di forte e probabile gelosia.
Le prime ipotesi: dalla depressione alla psicosi
La mamma di Elena ha spiegato di essersi trovata in uno stato confusionario: «Ricordo soltanto il coltello, ma non ricordo altro, non ero in me, non ero io». Infatti, il legale della donna, l’avvocato Gabriele Celesti, ha parlato di «un interrogatorio drammatico di una donna distrutta e molto provata che ha fatto qualcosa che neppure lei pensava di poter fare», agendo come se «qualcuno si fosse impadronito di lei». Dimostrandosi «tutt’altro che fredda e calcolatrice. Farò incontrare la mia assistita con uno psichiatra di fama – ha aggiunto l’avvocato – per verificare le sue condizioni e dopo decideremo sulla perizia. Devo dare atto di grande correttezza ai carabinieri e alla Procura».
Claudio Mencacci, direttore emerito del Dipartimento di Neuroscienze all’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, ha raccontato al Corriere che è possibile che la donna abbia agito sulla base di quello che viene definito “complesso di Medea”. Si tratta di un impulso omicida che ha come finalità far soffrire l’ex compagno: «Parlerei piuttosto di intenzionalità non premeditata. Ora si dovrà capire se la donna abbia un disturbo di personalità borderline. Ma possiamo presumere — anche stando alle parole dei familiari — che ci fosse una sorta di abitudine al maltrattamento nei confronti della figlia, unita a forte tensione emotiva».