di Angelo Perfetti
Che l’Italia fosse ormai diventata sinonimo di barzelletta in India era chiaro dal comportamento del suo governo, ma le parole pronunciate dal procuratore generale indiano in aula per contrastare la difesa italiana, parole cariche di ironia al limite del sarcasmo, ne sono la conferma. Il procuratore generale indiano G.E. Vahanvati , infatti, ha ironicamente chiesto all’avvocato difensore dei marò, Mukul Rohatgi che respingeva l’applicazione della legge antiterrorismo (Sua Act) nel processo, se non voleva per caso che “magari i due militari fossero condecorati”. Lo scrive oggi The Hindu. Il quotidiano riferisce un breve scambio di battute durante l’udienza di ieri in Corte Suprema che da’ la misura dei problemi esistenti fra i due Paesi. Prendendo la parola, Rohatgi stava spiegando al giudice B.S. Chauhan quanto fosse inappropriata l’applicazione del Sua Act, visto fra l’altro che esso non era stato incluso fra i quattro strumenti che la stessa Corte Suprema aveva indicato nella sua sentenza del 18 gennaio scorso. A questo punto, sostiene il giornale, Vahanvati avrebbe usato l’arma dell’ironia per osservare: “Hanno ucciso due persone. Ci stanno suggerendo che non dovrebbero essere processati, ma magari condecorati con il Padma Bhushan o il Padma Vibhushan”, che sono rispettivamente la terza e la seconda più importante decorazione al merito civile indiano.
Bastava spiegargli che una qualsiasi imbarcazione non può e no deve avvicinarsi in mare aperto ad una petroliera, per di più senza farsi riconoscere, proprio per evitare di essere confusa con i pirati. E che quei soldati non sono pirati proprio perché sono militari che li combattono. Ragionamenti di buon senso, prima che di diritto. E restando a quest’ultimo, l’Italia non ha mai chiesto di decorarli, ma solo di processarli in Italia o davanti a un tribunale “terzo”. Richieste ben lontano dalla pantomima indiana che ormai non si fa più scrupoli a sbeffeggiare gli italiani né con i comportamenti della Corte, né con quelli del Procuratore né con le finte liti tra ministeri utili solo a prendere ancora tempo.
Ma gli indiani amano fare la voce grossa. E allora ecco un chiarimento che sa di minaccia: sul caso marò – scrive l’Indian Express – la Corte Suprema deciderà “in base al diritto, non preoccupandosi delle conseguenze sul piano delle relazioni internazionali”. Con questo avvertimento il presidente della Corte, B.S Chauhan, ha dato appuntamento a lunedì prossimo ad accusa e difesa, che ieri nel corso dell’udienza non sono riusciti a trovare un accordo sull’opportunità di incriminare i due marò italiani in base alla legge anti-pirateria (seppure in una versione ammorbidita, cioè senza prevedere la pena di morte ma con una previsione di pena massima di 10 anni). Deciderà “in base al diritto”, dicono. Già, ma quale Diritto?