In Francia si respira aria di tempesta. Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (RN), sembra aver trovato la faglia da far cedere: il bilancio del 2025, proposto dal Primo Ministro Michel Barnier, promette un serrato programma di austerità per ridurre il deficit al 5% del PIL. Tagli alla spesa pubblica e aumenti fiscali — un cocktail già amaro per i francesi stremati dall’inflazione. E proprio qui Le Pen affonda il suo colpo.
“Non accetteremo che siano le famiglie, i pensionati e i piccoli imprenditori a pagare il prezzo di una politica che ha fallito” ha dichiarato, avvisando che il RN non esiterà a ritirare il suo fragile appoggio parlamentare. Una mossa che non è semplice opposizione, ma un tentativo chirurgico di destabilizzare un governo già appeso a un filo.
Un calcolo politico che punta al caos
Le Pen gioca d’anticipo e scommette sullo scontento popolare, un’arma che padroneggia da tempo. Gli effetti si vedono nei sondaggi, dove il RN continua a guadagnare consenso come il “partito della gente comune”. Ma non è solo una questione di consenso. Dietro c’è il calcolo strategico di un leader che, sotto processo per appropriazione indebita di fondi europei, vede profilarsi l’ombra di un’esclusione dalle presidenziali del 2027.
La tentazione di mettere all’angolo Barnier, costringendolo a scegliere tra l’impopolare articolo 49.3 (che bypasserebbe il voto parlamentare sul bilancio) e il rischio di una mozione di sfiducia, è l’ennesima prova di una politica trasformata in arena. Se il governo cadesse, Le Pen avrebbe due vantaggi: esibire la propria centralità politica e distrarre dall’imbarazzo delle aule di tribunale.
Nel frattempo, il Primo Ministro, consapevole della posta in gioco, ha tentato il compromesso. Ma Le Pen non cede. L’incontro tra i due, avvenuto nei giorni scorsi, non ha prodotto altro che una conferma: il RN non intende accettare una sola virgola che gravi sulle spalle dei cittadini. “Non vedo nessun margine di accordo” ha ribadito, lasciando intendere che la tensione non si scioglierà facilmente.
Il rischio di una Francia paralizzata
Il rischio di una crisi politica che trascini con sé le finanze francesi, e con esse parte della stabilità dell’eurozona, è più che concreto. Con un debito pubblico che sfiora il 112% del PIL, una Francia in stallo paralizzerebbe il cuore economico dell’Unione Europea. Ed è qui che Marine Le Pen gioca la sua partita più pericolosa: accusare il governo di “servilismo europeo” mentre agita la bandiera del protezionismo e del potere nazionale.
Ma c’è un paradosso. Se da un lato Le Pen critica aspramente i sacrifici chiesti dal governo, dall’altro non offre una via d’uscita che non passi per un’altra forma di austerità. La sua promessa di tutela del potere d’acquisto si scontra con l’evidenza: fuori dall’euro o dentro, i margini per un’economia solida in un contesto globale restano limitati.
Marine Le Pen punta a far saltare il banco. Ma questa volta la scommessa non riguarda solo il suo futuro politico, bensì quello della Francia e dell’Europa. Un rischio calcolato o un azzardo pericoloso? La risposta, per ora, resta sospesa tra le pieghe di un bilancio che potrebbe riscrivere le sorti di una nazione intera.
Dalla prospettiva italiana la mossa di Le Pen implica inevitabilmente l’imbarazzo del governo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni da due anni lavora alacremente per difendere la credibilità europea di sé stessa e dei suoi alleati. L’asse Le Pen-Salvini nei patrioti è già una spina nel fianco dei rapporti con von der Leyen. E ora la situazione può solo precipitare. Anche perché non è difficile immaginare che il leader della Lega sullo sfondo sorrida.