All’epoca d’oro del Papeete, i ministri suonavano ai citofoni chiedendo: “Scusi, abita qui lo spacciatore”. Ora, nell’era di Giorgia e del suo fedele ministro della Giustizia, Roberto Nordio, sono gli spacciatori a suonare ai citofoni, chiedendo “Abita qui il testimone che mi accusa?”.
Fari puntati sull’interrogatorio preventivo
A creare il paradosso è la norma sull’interrogatorio preventivo, una delle nuove misure contenute nella riforma Nordio della giustizia, entrata in vigore il 25 agosto scorso . In base a tale misura, l’indagato, prima di essere arrestato, deve essere avvisato, convocato e interrogato dal giudice e, soprattutto, può liberamente consultare e conoscere tutti gli atti di indagine, compresi i nomi delle persone che lo accusano.
Un evidente vantaggio per gli indagati
Un evidente vantaggio per gli indagati, come dimostra la vicenda di quel testimone minacciato e costretto poi a cambiare città dagli spacciatori contro i quali aveva testimoniato, che proprio durante l’interrogatorio preventivo avevano avuto accesso alle carte dei Pm. E così avevano saputo il nome e indirizzo dell’uomo. Una storia riportata dal Fatto Quotidiano il 29 settembre scorso.
Nordio: “Una norma di civiltà”
Una vicenda che però Nordio dice di non conoscere, perché, come lui stesso ha ammesso ieri durante il question time alla Camera, non legge “certa stampa”. Quindi le criticità mosse dall’interrogazione presentata dalle onorevoli M5s Carla Giuliano e Valentina D’Orso sono per il ministro “vuota metafisica dell’intelletto”.
“L’interrogatorio preventivo è una norma di civiltà” che tiene presente come “la presunzione di innocenza” sia un principio inserito “nella Costituzione”, ha replicato Nordio in aula. “Da magistrato ho assistito troppe volte ad ordinanze di misure cautelari poi ribaltate dalla Cassazione o dal Tribunale del riesame perché non erano state sentite le ragioni della persona indagata, il ‘caso’ Tortora insegna” ha aggiunto. Non contento il Guardasigilli che non legge i giornali, ha sentenziato: “L’interrogatorio preventivo è limitato a certe circostanze e non inficia la segretezza dell’istruttoria e dell’indagine” che, invece, a volte “viene svelata dalla stampa”.
M5s: “Un governo che per salvare i colletti bianchi, mette a rischio i cittadini”
Così “certificate che il vostro motto è: favori agli indagati e abbandono totale delle persone oneste. Per voi tutelare l’indagato ed evitare che vada in carcere conta di più della vita e dell’incolumità delle vittime, dei testimoni e di coloro che denunciano”, la replica di Giuliano in aula.
“L’unica cosa che avrebbe dovuto fare lei oggi – ha aggiunto la D’Orso – era scusarsi per i danni che la sua riforma sta già facendo. Che Stato è? Che Governo è, quello che per garantire spazi di impunità ai colletti bianchi e sottrarli al carcere – perché questa è la vera finalità dell’interrogatorio preventivo – mette in pericolo la stessa vita delle persone perbene che denunciano i reati e mortifica la domanda di giustizia che viene dalle vittime? Non sappiamo se la vostra è incapacità o è malafede, ma una cosa è certa: dovete chiedere scusa ai cittadini perché state rendendo l’Italia un Paese più ingiusto e più insicuro e dovete togliere il disturbo il prima possibile”, la conclusione di D’Orso.
Il Senato approva il Ddl Zanettin sulle intercettazioni
E, mentre alla Camera Nordio ragionava di metafisica, al Senato passava (con anche i voti di Italia Viva) il Ddl Zanettin, quello che limita a 45 giorni le intercettazioni, una nuova mannaia sulle indagini di tutte le procure. E che i magistrati osteggiano fortemente. Per tutti valgono le parole del procuratore aggiunto a Genova Francesco Pinto: “In 45 giorni non avremmo mai potuto sviluppare un’indagine come quella condotta a Genova (ai danni di Giovanni Toti & Co, ndr) negli ultimi anni. La nuova norma delineata nel ddl Zanettin rischia di trasformare le intercettazioni in armi spuntate e vanificare completamente importanti indagini su gravi fenomeni criminali”.
L’ultima legge bavaglio: inasprire le ammende per i giornalisti
Ma ancora non è finita. Sempre ieri le commissioni Giustizia di Camera e Senato hanno fatto slittare alla prossima settimana il voto dei pareri sullo schema di decreto legislativo “sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza”.
Si tratta della norma che vuole vietare ai giornali di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare. Uno slittamento dovuto non al ripensamento della maggioranza su una legge bavaglio per la stampa, tutt’altro. Nelle intenzioni del centrodestra, il testo deve essere emendato aggiungendo un “rafforzamento del profilo sanzionatorio”.
Ovvero vogliono stabilire ammende pecuniarie più alte per i giornalisti e le testate che oseranno infrangere il divieto di pubblicazione. Un’obiezione di coscienza già annunciata da alcuni giornali contro una norma liberticida.