Mai visti tanti decreti legge: stravolte le regole della democrazia

Meloni governa a colpi di decreti, svuotando il Parlamento e aggirando le regole. La democrazia diventa un ostacolo da bypassare.

Mai visti tanti decreti legge: stravolte le regole della democrazia

Il governo Meloni ha trovato il suo strumento di comando: il decreto legge. Non che sia un’eccezione assoluta – la pratica è abusata da tempo – ma i numeri parlano chiaro. Dall’insediamento, Palazzo Chigi ha sfornato 84 decreti legge, più di qualsiasi altro governo nelle ultime quattro legislature. In media, tre al mese. Il ritmo, come raccontano i dati raccolti da Openpolis, è lo stesso dei governi che hanno gestito la pandemia. Peccato che lo stato di emergenza sia finito da un pezzo.

Un Parlamento ridotto a passacarte

L’abuso dei decreti legge non è solo una questione di numeri. Il problema è politico: il Parlamento è costretto a inseguire l’agenda del governo, riducendo al minimo lo spazio per la discussione. La logica è semplice: ogni decreto ha 60 giorni per essere convertito in legge, e quando ne arrivano troppi contemporaneamente, le Camere si trasformano in una macchina automatica di approvazione. Il legislatore rincorre, mentre l’esecutivo detta la linea.

L’effetto? Le leggi di conversione dei decreti superano quelle ordinarie: 71 contro 65. In pratica, il Parlamento non legifera più, ratifica. E non è una novità, ma uno schema consolidato: anche Draghi, Conte II e perfino Letta hanno fatto lo stesso, spostando il baricentro della produzione normativa da Montecitorio a Palazzo Chigi.

I decreti Minotauro: la scorciatoia per aggirare la democrazia

C’è di più. Quando il Parlamento non fa in tempo a convertire un decreto, il governo ha trovato il trucco per non perdere i provvedimenti: i cosiddetti “decreti Minotauro”. Il meccanismo è semplice quanto opaco. Se un decreto sta per decadere, lo si ingloba in un altro decreto in corso di conversione, assicurandosi che le misure sopravvivano. È successo almeno nove volte dall’inizio della legislatura.

A questo punto, la domanda è inevitabile: perché il governo continua a usare il decreto legge come fosse la regola anziché l’eccezione? La risposta è nei numeri: dal 23 dicembre al 24 gennaio, il governo ha emesso sei nuovi decreti legge. Tra questi, il Milleproroghe 2025 e il decreto sull’ex Ilva. Ma anche provvedimenti che nulla hanno di urgente, come il riordino del sistema scolastico o misure sulla cultura.

Uno stato di emergenza permanente

Il punto è che il governo ha normalizzato l’eccezionalità. Come sottolinea Openpolis, il rischio è chiaro: lo slittamento dallo stato di emergenza (temporaneo) a uno stato di eccezione permanente. La pandemia ha abituato l’opinione pubblica a tollerare la compressione dei poteri parlamentari, ma ora il governo sta cercando di trasformarla in prassi ordinaria.

La politica dovrebbe servire a governare le complessità con strumenti democratici. Qui, invece, si sta scegliendo una scorciatoia: saltare il confronto parlamentare, svuotare il dibattito, concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo.

Diciotto decreti del governo Meloni hanno impiegato più di una settimana per passare dal Consiglio dei ministri alla Gazzetta Ufficiale. In alcuni casi, sono trascorse più di due settimane. Cosa succede in questo lasso di tempo? Chi interviene, chi modifica il testo? Non si sa. L’unica certezza è che il Parlamento riceve un testo a giochi già fatti.

Il Parlamento sotto scacco: si governa per decreti

La democrazia parlamentare vive di equilibri e controlli. Quando l’esecutivo usa il decreto legge come un randello, il Parlamento diventa un notaio. Il problema non è solo tecnico, è politico: il governo Meloni sta costruendo un nuovo standard, in cui il potere legislativo viene marginalizzato e la centralità del Parlamento diventa un residuo formale.

Oggi ci si abitua all’abuso del decreto legge. Domani, chissà. Magari qualcuno penserà che il Parlamento sia solo un fastidio.