Magistrati, carabinieri, servizi segreti e giornali palesemente informati dalla stessa cricca. La sporcizia che sta emergendo in questi giorni attorno all’inchiesta Consip non svela soltanto un disegno eversivo di gravità inaudita, ma mostra uno scadimento terrificante della nostra democrazia. Quando si aprirono pagine tristissime della nostra storia, con le trame degli apparati deviati dello Stato o della loggia P2, la politica e i grandi giornali fecero quadrato a difesa delle istituzioni, a prescindere della tessera di partito di chi le occupava. Oggi, di fronte a chiare manovre per togliere di mezzo un Presidente del Consiglio che – piaccia o no – aveva la fiducia del Parlamento, il Presidente della Repubblica non ha niente da dire, nei partiti di Governo si sente solo qualche timida voce e i quotidiani amici della cricca continuano a difendere l’indifendibile. Noi, da questo giornale piccolissimo, querelati dal Procuratore aggiunto di Napoli Henry John Woodcock per aver fatto notare a dicembre dell’anno scorso che la fuga di notizie sulla sua inchiesta pompatissima da alcuni precisi giornali era scandalosa, non arretreremo di un millimetro dal convincimento che la politica si vince nelle urne e non con invasioni di campo di chicchessia: magistratura, poteri forti o strutture infedeli dello Stato non fa differenza. Per questo non ci siamo accodati, e mai lo faremo, al coro stonato di chi fa finta di non vedere la gravità di quello che è successo, al di là del fatto che il bersaglio di tutto, Matteo Renzi, non ci piaccia più per niente.
Cerchiamo perciò di mettere tutti i tasselli della vicenda al loro posto, sgombri da partigianerie politiche o da finalità inconfessabili per chi dovrebbe limitarsi a raccontare e analizzare i fatti, non certo storpiarli o inventarne di sana pianta. Chi è certo che in questa storia ha sovvertito la verità è il capitano dei carabinieri del Noe Giampaolo Scafarto, di recente pure promosso maggiore, attribuendo all’imprenditore napoletano Alfredo Romeo un incontro con il padre di Matteo Renzi che invece era riferito dal consulente Italo Bocchino. Scafarto è stato per anni uno degli ufficiali più vicini al pm Woodcock, e nei messaggi intercettati sul suo telefonino sembra spingere alcuni colleghi a incastrare con ogni mezzo il padre dell’allora premier. Scafarto è indagato per questo e non si è nemmeno presentato all’ultimo interrogatorio disposto dalla Procura di Roma. Si tratta di comportamenti accettabili da un carabiniere? Ci sono poi le continue fughe di notizie sugli atti dell’inchiesta. Woodcock ha respinto seccamente ogni sua responsabilità davanti ai colleghi della Capitale che lo hanno indagato insieme alla giornalista Federica Sciarelli, sua amica, e al collega del Fatto Quotidiano Marco Lillo, ai quali hanno sequestrato il telefonino. Da Woodcock non è arrivato nessun contributo per capire come siano uscite tante carte passate dai suoi uffici, ma proprio su quei giornali che hanno pubblicato gli atti si è fatto balenare che la manina generosa con certa stampa sia proprio nella Procura di Roma che indaga Napoli. Un gioco di specchi insomma, in linea con le manovre opache dei Servizi segreti incomprensibilmente coinvolti in questa storia. Un ruolo che a sentire le affermazioni rese al Csm dal capo della Procura di Modena, Lucia Musti, è assolutamente inquietante. Il capitano Ultimo, all’epoca ai Servizi, secondo la Musti avrebbe premuto insieme a Scarfato per stringere il cerchio su Renzi. Nel frattempo Ultimo è allontanato dagli stessi Servizi per cui lavorava, accusato di aver condotto indagini all’insaputa dei vertici dell’ufficio. A Sergio De Caprio, di gran lunga più noto come Ultimo per essere stato l’ultimo della squadra che arrestò il capo di Cosa nostra Totò Riina, dobbiamo tutti riconoscenza per quella operazione. Ma nell’attuale vicenda la sua posizione è compatibile con i doveri di un servitore dello Stato? De Caprio va sottolineato che contesta quanto riferito dalla Musti, ma la versione del Procuratore è così circostanziata da lasciare pochi dubbi.
A latere di tutto questo c’è poi una pericolosissima perdita di credibilità delle nostre Forze dell’ordine. L’inchiesta Consip partita da Napoli accusa di rivelazione di segreti d’ufficio – tra gli altri – il comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette. Accuse anche in questo caso fermamente respinte, ma che gettano un’ombra sgradevole su un corpo dello Stato attraversato in questo momento da altri disagi, dopo il presunto stupro a Firenze da parte di due militari dell’Arma. Può il nostro Paese, sgomento nel vedere magistrati che accusano generali, carabinieri che pilotano indagini, giornali che sputtanano tutti pubblicando intercettazioni impubblicabili, sopportare senza effetti un tale conflitto tra i suoi servitori? La risposta è no, e allora senza pretendere di condannare nessuno prima della conclusione delle indagini e degli eventuali processi, a questo punto sarebbe bene che tutti facessero un passo indietro. Per il bene superiore di un solo soggetto: lo Stato.