Le immagini di Bettino Craxi bersagliato dalle monetine all’uscita della sua residenza romana, il centralissimo Hotel Raphaël, quel 30 aprile 1993, in piena Tangentopoli, sono parte del nostro immaginario collettivo. Rappresentano un evento che ha segnato non solo la storia politica del Paese ma anche il comune sentire, il sentiment. Ebbene, oggi quel sentimento anti casta e fortemente imperniato sul concetto di giustizia non esiste più, è svanito, sepolto, e soprattutto non sposta più un voto.
Le inchieste per corruzione e gli scandali non interessano più nessuno. Ovunque in quegli anni, in maniera del tutto trasversale, pullulavano focolai di autentica indignazione popolare: termini quali concussione, corruzione, ricettazione, associazione a delinquere, violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti entrarono prepotentemente nel lessico comune, ogni sera negli italiani che guardavano i Tg con i loro bollettini di morti e feriti (politici e imprenditori corrotti indagati o arrestati) saliva la rabbia nei confronti di un sistema clientelare di gestione della cosa pubblica e di una concezione malata del potere.
Il 1992 non fu certo l’inizio della corruzione, ma per la prima volta la denuncia pubblica acquisiva una portata e una visibilità mai avute, non era più possibile nascondere la polvere sotto il tappetto. E fu uno tsunami: un’onda anomala, appunto, un evento straordinario destinato ad esaurirsi. In un lasso di tempo che in verità in Italia non è stato neppure così breve: ben prima dell’ingresso nelle stanze del potere del Movimento 5 Stelle con lo slogan “Onestà! Onestà!” e il grido di battaglia di Grillo “Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, erano stati altri a cavalcare quell’onda: in primis la Lega Nord, che improvvisamente schizzò dallo 0,5 all’8,6%.
Iconica è l’immagine del deputato Luca Leoni Orsenigo che il 16 marzo del 1993 agita un cappio in Aula a Montecitorio mostrandolo ai democristiani e ai socialisti, finiti nel mirino dell’inchiesta Mani Pulite, il cui magistrato simbolo, Antonio Di Pietro non a caso nel 1997 fu eletto in Senato con percentuali bulgare per poi fondare un suo partito. E sappiamo come è andata a finire. Del resto la stagione dei magistrati superstar acclamati ed eletti a furor di popolo è ormai esaurita, segnale inequivocabile dell’esprit du temps. Dei vari Grasso, Emiliano, de Magistris resiste solo il governatore pugliese. Per l’ex sindaco di Napoli candidato a presidente in Calabria e per l’aspirante primo cittadino del capoluogo campano, il pm anti camorra Catello Maresca non c’è stato nulla da fare: non hanno solo perso, hanno perso male.