di Monica Setta
Sarà che diffido sempre di chi registra un “coro unanime di consensi” perché amo le persone imperfette, eccessive, un po’ sgangherate, quelle che non pianificano ogni dettaglio della carriera, che si lasciano avvolgere (addirittura travolgere) dalle passioni, sarà che sono una giornalista profondamente divisiva che adora i suoi simili. Gente che o si ama oppure si odia, o vita oppure morte. Sarà per tutte queste ragioni (più una) che ho sempre guardato con scetticismo le performances professionali – oggettivamente di tutto rispetto – della mia collega e omonima Monica Maggioni, identica classe di nascita, 1964, stessa propensione a far onore alla buona tavola con evidenti risultati sul girovita (il suo a lievitazione naturale, il mio più contenuto ma solo a prezzo di sacrifici quotidiani che sembrano pratiche genuinamente masochistiche più che regimi ipocalorici!). Forse nel mio intimo invidio al neo direttore di Rainews 24 quell’aria convinta da “prima della classe” che non si concede mai il beneficio del dubbio, ma coltiva l’impianto complessivo di innata sicumera con tenacia senza sbavature o smagliature “in extremis”. Monica non è soltanto brava – il dato, considerato il fatto che ha completato gli studi accademici e parla svariate lingue, è innegabile – riesce anche ad offrire un’immagine di sè compiuta, tonda, inscalfibile. Per noi donne che manteniamo intime fragilità e una “paura di vincere” già messa in luce negli anni 60 dalla psicologa americana Matina Souretis Horner, l’esempio vincente della Maggioni è un toccasana, una storia positiva da divulgare possibilmente nelle scuole dell’obbligo, tanto per spingere le ragazzine a non sottovalutarsi e a “pensare in grande” sempre non distaccandosi mai dal cliché politically correct. Quale? Questo che segue, prendete nota. In Italia i giornalisti sono bravi e fanno carriera se hanno comunque passato un periodo all’estero, se privilegiano i commenti ai fatti, se partecipano a circoli intellettuali e salotti di qualità, se – nel caso delle donne – indossano tailleur o tuniche coprenti destinati a non far emergere vistose differenze fra loro, le “femmine pensanti” e l’altra metà del cielo, magari più avvenente e disinibita. Siamo un popolo di persone contraddittorie e squisitamente provinciali, esterofili quando si tratta di selezionare l’establishment, irrimediabilmente xenofobi, invece, se dobbiamo avere a che fare con i nostri simili di razze e religioni diverse. Il giornalismo non fa eccezione, i migliori sono coloro che hanno ricevuto la certificazione, l’etichetta doc. Il resto è truppa da macello, per questi qui non scatta neanche la difesa d’ufficio della corporazione, anzi è la categoria che, per serrare le fila, si organizza per ripudiare il “corpo estraneo”. Monica, dai giornalisti, è sempre stata amata perchè frequenta quelli giusti, a cominciare da quell’ottima “firma” e buon uomo di Marcello Sorgi che, si narra, la volle alla conduzione di Unomattina quando era direttore del Tg1. Leggende, boatos, nulla di più. Fra gli estimatori della rossa c’era ancor di meglio, quel galantuomo di Mario Landolfi, An, presidente della commissione di vigilanza Rai e ministro delle comunicazioni. Lo intervistai nel 2004 e già allora per la sua beniamina, il ministro prefigurava una super direzione. Non se ne fece niente, anche se il consenso bipartisan alla Maggioni passava all’epoca per la potentissima Anna Serafini, moglie assai influente di Piero Fassino nella sua stagione d’oro di segretario dei Ds. Perché il sogno di (giusta) gloria della Maggioni si potesse avverare doveva arrivare un manager come il dg della Rai Luigi Gubitosi, uno che non sbaglia un colpo e di “eccellenze” se ne intende. Almeno, lo speriamo, anche noi comuni mortali. E lo spero anch’io, Dio lo voglia, prometto che faccio uno stage fuori confine, fosse pure a Lugano, basta che faccia curriculum.