Sulle elezioni amministrative di Palermo, cala l’ombra di Cosa Nostra. Che la potente organizzazione criminale sia da tempo interessata alle elezioni, è cosa nota e ce lo ricorda l’indagine lampo in cui è stato arrestato Pietro Polizzi, già ex consigliere provinciale e attuale candidato di Forza Italia al Consiglio comunale della città.
Al noto politico, il procuratore aggiunto della Dda Paolo Guido e i pm Dario Scaletta e Giovanni Antoci, contestano il reato di voto di scambio politico-mafioso. Arrestati nel corso del blitz anche Agostino Sansone – fratello di Gaetano – proprietario della villa di via Bernini in cui Totò Riina passò gli ultimi mesi prima dell’arresto nel 1993, e un suo collaboratore, Manlio Porretto.
L’indagine lampo su Pietro Polizzi
Quanto scoperto dai magistrati sarebbe il più classico degli esempi di come Cosa Nostra si interessi alle elezioni e cerchi di individuare il ‘cavallo’ giusto su cui puntare.
Che non si tratti di congetture ma di fatti, ne sono convinti i magistrati della Dda palermitana. Del resto dalle intercettazioni fatte ai protagonisti di questa ennesima vicenda di malcostume italiano, sarebbero emerse prove schiaccianti che hanno permesso di chiudere l’indagine in meno di un mese e di ottenere le misure cautelari, con il parere favorevole del gip, in meno di quattro giorni dalla richiesta.
Tra le intercettazioni – effettuate tramite trojan – più rilevanti ce n’è una che, secondo i pm, dimostra “rara capacità” dimostrativa del reato di scambio elettorale politico-mafioso contestato. È il 10 maggio quando Sansone, definito dagli inquirenti come un “noto mafioso”, si presenta al comitato elettorale di Polizzi. A far sobbalzare sulla sedia gli investigatori è il candidato consigliere di Forza Italia che si lascia andare sussurrando – per ben due volte di fila – una frase rivelatrice: “Se sono potente io, siete potenti anche voi”.
Il giudizio degli inquirenti su Polizzi
Come scrive il gip tale “asserzione non merita commento in quanto Polizzi intendeva formulare espressamente una proposta la cui gravità è indubbia”. “Ce la facciamo” assicura il candidato consigliere precisando che il risultato arriverà – si legge ancora nel dispositivo del gip – “anche in ragione dell’aiuto ottenuto grazie al vicedirettore dell’Azienda Sicilia trasporti D’Alì la cui moglie è candidata in tandem con Polizzi. La donna è definita dall’indagato come la candidata del presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè”.
Insomma un quadro di gravità inaudita messo nero su bianco anche dalla Procura di Palermo. Nella richiesta di arresto si legge: “Quanto accertato in indagini impone un ineluttabile e urgente intervento di natura cautelare, atto a scongiurare il pericolo che il diritto-dovere del voto, per le imminenti elezioni amministrative del 12 giugno, sia trasfigurato in merce di scambio assoggettata al condizionamento e all’intimidazione del potere mafioso. Ne deriverebbe difatti la conseguente grave violazione del principio e del metodo democratico del quale il libero e incondizionato esercizio del voto costituisce il caposaldo”. Al momento l’unica certezza è che questi arresti hanno già scatenato un terremoto politico in città.
L’arresto di Polizzi causa uno tsunami politico sul Centrodestra
Un danno d’immagine che rischia di pesare sul groppone del candidato sindaco del Centrodestra, Roberto Lagalla. “Gli arresti dimostrano la fondatezza delle nostre preoccupazioni sull’infiltrazione della criminalità organizzata nelle elezioni amministrative dei prossimi giorni” ha attaccato il rivale sostenuto da tutto il Centrosinistra, Franco Miceli.
Secondo quest’ultimo “nessuno si dica sorpreso, perché se si sdogana il supporto politico da parte di soggetti già condannati per reati connessi alla mafia, è naturale che in quella proposta politica trovino spazio metodi e sistemi che sono quelli che hanno già inferto ferite indicibili alla nostra città”.
Per tutto ciò “l’ambiguità di Lagalla si è manifestata: il re, come si dice, è nudo. E non basteranno delle frasi di circostanza espresse con malcelato imbarazzo a mascherare la realtà. Abbiamo il dovere di proteggere i miliardi del Pnrr e dei fondi europei dagli interessi scomodi e dalle spartizioni mafiose” anche perché, conclude, “a questo punto la preoccupazione è che non sia un caso isolato”.
Parole di fuoco a cui ha risposto proprio Lagalla elogiando il blitz dei magistrati e affermando che “la mafia e le sue ramificazioni stiano lontane dalla mia porta, non troveranno mai alcuna accoglienza, saranno accompagnate immediatamente e senza tante gentilezze alla Procura della Repubblica”.
Poi ha spiegato di non conoscere “personalmente Polizzi” il quale “evidentemente ha ritenuto di potere fare dei patti scellerati” da cui si è dissociato. Ma gli attacchi pesano e il nervosismo del candidato è evidente: “Gli attacchi sono strumentali. Io sarò il garante di questa coalizione di fronte ai cittadini e ci siamo schierati dalla parte giusta, della legalità e della magistratura”.
Pietro Polizzi, il Movimento va all’attacco
Quel che è certo è che quest’ennesima inchiesta che porta alla luce gli interessi della mafia sulla politica, è già diventata un caso politico. Lo ha fatto capire – senza peli sulla lingua – il leader M5S, Giuseppe Conte, arrivando a minacciare perfino la tenuta dell’Esecutivo. Il Movimento 5stelle è nato “per fare la guerra alla mafia e a tutte le incrostazioni di potere”.
Una battaglia civile che il partito farà con la “forza del diritto, il rigore dell’etica pubblica e l’intransigenza morale” ha spiegato il presidente di M5S. Insomma sulla lotta alla mafia i pentastellati sono pronti allo strappo qualora “fossimo costretti a compromessi che non intendiamo accettare”.
A far capire quale sia la posta in gioco è sempre Conte. Concludendo il suo intervento a Palermo, ha spiegato come “il nostro impegno per la Legge Spazzacorrotti o per l’inasprimento delle norme contro lo scambio politico-mafioso” proseguirà e che il Movimento “non può abbandonare assolutamente quel presidio che è l’ergastolo ostativo”.