Ieri una candidata di FdI alle Regionali in Sicilia è stata arrestata per corruzione. Il segretario regionale del Pd ha puntato il dito contro il metodo di costruzione delle liste e di gestione del consenso da parte del centrodestra. Pierpaolo Farina, direttore di Wikimafia e dottore di ricerca in Studi sulla criminalità organizzata alla Statale di Milano, che ne pensa?
“Direi che, pur in una generale maggiore sensibilità sul tema da parte del cosiddetto centrosinistra, oramai è dai tempi di Enrico Berlinguer che non si possono più stilare primati tra i partiti su come si fa politica. Innanzitutto bisogna distinguere tra ciò che è questione morale e ciò che è questione giudiziaria. Una persona può avere un comportamento che dal punto di vista giudiziario non è rilevante ma politicamente lo è. Quello che servirebbe oggi è una maggiore disciplina e regolamentazione da parte dei partiti che dovrebbero allontanare chi ha una concezione clientelare della politica, perché prima o poi una mentalità del genere apre le porte a rapporti con la criminalità organizzata di stampo mafioso”.
Ritiene che notizie come queste siano in grado di spostare voti?
“No. A meno che non si tratti di tipologie di reati che possono avere risvolti di gossip – penso per esempio al caso di prostitute pagate a spese dei contribuenti che scatenano il disprezzo dell’opinione pubblica – non credo che ci possano essere ripercussioni sulle intenzioni di voto in seguito a queste notizie. L’elettore quando vede questi casi distribuiti su tutto l’arco parlamentare finisce per dire che è il solito magna-magna”.
La parola mafia è davvero sparita dai radar dei partiti?
“Noi abbiamo fatto un report dove abbiamo analizzato i programmi elettorali dei diversi partiti e stilato una classifica con tanto di punteggi. Gli unici due che parlavano di lotta alla mafia già prima della nostra analisi e della nostra call (‘Parlate di mafia’) erano Unione popolare di Luigi de Magistris e il M5S di Giuseppe Conte che hanno totalizzato il punteggio maggiore. Verdi e Sinistra italiana hanno cominciato a parlarne dopo l’adesione alla nostra call. Il Pd, che pure aveva il programma più avanzato su questi temi, registra un importante deficit. Vale a dire il suo segretario, Enrico Letta, non ne parla e di fatto cancella il tema dalla campagna elettorale. Conte, senza aver bisogno delle nostre sollecitazioni, ha a piè sospinto ribadito l’importanza della lotta alla mafia e ha fatto anche iniziative in tal senso. Penso ad esempio alla marcia per ricordare Angelo Vassallo a Pollica il 5 settembre. Vassallo, val la pena ricordare, era sindaco del Pd e Letta non l’ha neanche commemorato. Tre partiti del centrodestra su quattro, a iniziare da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, non hanno avanzato proposte sulla lotta alla mafia”.
La questione morale posta da Berlinguer è stata archiviata dunque da chi doveva raccoglierne il testimone?
“Mi sembra proprio di sì. Penso agli attacchi a Nicola Gratteri arrivati da parte di un pezzo del Pd in Calabria. Ci si ricorda del fenomeno mafioso solo quando ci sono gli anniversari, per il resto del tempo lo si dimentica”.
È vero che le mafie sono pronte a banchettare col Pnrr?
“In ogni crisi le mafie avanzano nel tessuto economico imprenditoriale e ogni volta che ci sono grandi opere o ingenti somme di denaro finalizzate a progetti di tipo urbanistico, soprattutto, sono pronte a infiltrarsi. Il problema è che bisognerebbe attivare delle strutture di vigilanza ad hoc. Tutte le agenzie di contrasto alla mafia denunciano il rischio di infiltrazioni. E questo avrebbe dovuto essere argomento di campagna elettorale, invece nulla”.
Le mafie non sono più un problema solo italiano. Ma l’Europa lo ignora.
“Le mafie sono sempre più un fenomeno europeo. In Germania abbiamo più ‘ndrangheta che a Reggio Calabria ma i tedeschi così come i francesi, gli spagnoli e gli olandesi continuano a credere che da loro le mafie non ci siano. Abbiamo in Europa la stessa situazione che avevamo a Milano negli anni Ottanta quando si diceva che la mafia era solo a Palermo invece proliferava in Lombardia. Nei paesi del Nord Europa adesso c’è una situazione analoga. Le mafie fioriscono ma a livello politico e culturale questo non viene riconosciuto. Non è a rischio solo il Pnrr italiano ma anche quello degli altri Paesi Ue. All’estero, poi, non ci sono le misure di prevenzione patrimoniale e non c’è la confisca dei beni per i mafiosi che, in ragione di questo, stanno investendo molto in quei Paesi, indisturbati. Basta pensare che i giornalisti, per tutela della privacy, non possono neanche scrivere se hai una condanna di mafia e hai aperto per esempio un’attività”.
Cosa dovrebbe fare l’Europa?
“Introdurre, per prima cosa, a livello europeo, e obbligare i Paesi membri a recepirlo, il reato di associazione mafiosa. La Procura Ue, finora limitata alle truffe sui fondi comunitari, andrebbe potenziata estendendo il suo raggio d’azione al fenomeno mafioso. Altro punto qualificante sarebbe ‘colpire la roba’, vale a dire introdurre una norma su misure di prevenzione che permetta ai magistrati italiani di confiscare in via preventiva determinati beni all’estero”.
Ritornando in Italia che punto siamo nella lotta alla mafia?
“Dal punto di vista della repressione giudiziaria assestiamo colpi duri alle mafie. Ma la vera forza della mafia è fuori dalla mafia. Finché noi non colpiamo i colletti bianchi, i professionisti, gli imprenditori, i politici che decidono – in nome di svariati interessi – di entrare in contatto con le organizzazioni criminali, il fenomeno mafioso continuerà a riempire quei vuoti di potere. E di tutto questo i partiti – tranne poche eccezioni – non parlano”.