Giuseppe Gennari è stato giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Milano fino al 2006 e ora lavora alla IX sezione civile. Al suo nome è legata l’operazione “Crimine-Infinito”: nel 2010 Gennari convalidò le richieste di custodia cautelare di quella che sembrava essere una svolta nella consapevolezza e nella lotta alla mafia in Lombardia. Forse le cose non sono andate esattamente così.
Mafia a Milano: l’intervista al giudice Gennari “In procura è finita l’attenzione”
Gennari, a distanza di più di 10 anni da quella maxi operazione, crede che sia stata l’inizio di un percorso o un’occasione persa?
“La mia impressione è che l’attenzione per questi fenomeni abbia sempre fasi crescenti e fasi decrescenti. Non c’è mai un punto di partenza per un radicale cambio di passo. Certamente in quella stagione questi temi erano in prima pagina, oggi da osservatore esterno non li vedo più. Sicuramente qualcosa è cambiato”.
In questo c’è anche una responsabilità politica?
“Non sono un abile lettore della politica ma dò un’esperienza pratica: 2 settimane fa ero a un evento antimafia e eravamo in 5. Non so se l’antimafia sia sparita dall’agenda della politica perché non porta più voti. Ma non è solo la politica. Mi sono occupato di mafie per 5, 6 anni, già nell’ultimo periodo mi ricordo che in un’indagine c’era una società del nord infiltrata dalla mafia e un giornalista mi disse «no, guarda, di queste società qui siamo pieni e se vado dal mio direttore mi dice che è sempre la solita storia”.
Ma è credibile che dopo l’operazione Infinito la mafia in Lombardia si sia improvvisamente “calmata”, quasi scomparsa?
“Sulle indagini non so dire perché non ho più il polso della situazione. Certo immaginare che sia sparita è irrealistico. La mafia non è un fenomeno criminale, è un fenomeno sociale. La manifestazione criminale è solamente la parte visibile. Non eradichi un fenomeno sociale solo con un intervento giudiziario”.
Per l’Expo abbiamo discusso a lungo, e giustamente, delle infiltrazioni criminali. Per le prossime Olimpiadi invece non se ne parla. Ci sono meno pericoli?
“Non è cambiato nulla. Se l’occasione c’è si butterano tutti sugli appalti. La mia convinzione è che le mafie siano un ingranaggio di un sistema complessivamente illegale. Qui torniamo al discorso di prima: è un tema sociale. Non funziona che “tutti gli altri sono buoni” e il mafioso lo mettiamo in galera”.
Quindi ci sono componenti di quel sistema, anche pezzi di classe dirigente, che hanno interesse che la lotta alla mafia si sia smussata?
“Come era accaduto negli anni ’90 questi fenomeni si avvantaggiano quando esistono altre emergenze politiche e investigative. In questi anni ci sono stati tanti altri fattori che sono stati avvertiti come più urgenti e per le mafie questo è sicuramente positivo”.
Mentre in Calabria, Piemonte e Val d’Aosta le operazioni antimafia hanno coinvolto politici di primo livello in Lombardia l’unico politico è l’ex assessore Zambetti. C’è sfuggito qualcosa?
“Posso dire cos’è stato quando ero coinvolto in quelle indagini: i politici erano presenti, ma venne fatta una scelta tecnico-investigativa, che non sindaco, di procedere solo nei confronti di quelli di cui sia aveva certezza di poter arrivare a una condanna”.
Però quasi tutti hanno ancora ruoli apicali…
“L’ho sempre ripetuto: è una follia pensare che il fenomeno mafioso coincida con l’accertamento giudiziario. I piani alti non hanno interesse ha praticare una reale selezione”.