Se credere alla bufala secondo cui il ministro Alfonso Bonafede ha fatto favori ai boss è cosa ardua, da ieri è letteralmente una missione impossibile. Intendiamoci i dubbi sull’operato del guardasigilli non sono mai esistiti, nonostante quanto si sono affrettati a dire le opposizioni, tanto che ieri sono bastati appena tre minuti, durante il question time alla Camera, per lasciare tutti di sasso mettendo fine alle polemiche sulla mancata nomina del pm Nino Di Matteo alla guida del Dap e annunciando un decreto legge per riportare in cella i boss finiti ai domiciliari durante l’emergenza sanitaria.
LA BUFALA DEL DAP. “Mi viene chiesto innanzitutto se e quali interferenze si siano manifestate sulla nomina di capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel 2018. La risposta è molto semplice: nel giugno 2018 non vi fu alcuna interferenza diretta o indiretta, nella nomina del capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria” ha esordito un grintoso Bonafede. Semplicemente “sono mancati i presupposti” e per questo il guardasigilli, in totale autonomia, ha fatto la cosa più normale di tutte, ha scelto un altro candidato. Insomma nulla di strano eppure dalle opposizioni è partito un martellamento continuo, tutt’ora in corso, a cui il guardasigilli intende mettere fine.
“Ogni ipotesi o illazione costruita in questi giorni da alcune forze politiche è del tutto campata in aria, perché, come emerso dalla ricostruzione temporale dei fatti, le dichiarazioni di alcuni boss erano già note al ministero dal 9 giugno 20128 e quindi ben prima di ogni interlocuzione con il diretto interessato”, ha aggiunto Bonafede che ha dimostrato come i presunti condizionamenti siano un volo pindarico e di pura fantasia. Così, tra i brusii dei suoi rivali politici, il guardasigilli è andato avanti nel suo discorso difendendosi da quello che lui stesso ha definito “un dibattito politico surreale”.
A chi gli chiede come mai prima ventilò a Di Matteo due ipotesi d’incarico, guidare il Dap o lavorare al ministero, alla fine gliene sottopose solo una, Bonafede risponde: “Mi convinsi dopo una prima telefonata e in occasione del primo incontro al ministero che l’incarico al ministero era la scelta più giusta, perché avrebbe consentito a Di Matteo di lavorare in via Arenula, al mio fianco. Inoltre la notizia di Di Matteo al Ministero sulla scia di quello che aveva rappresentato Giovanni Falcone, ritenevo sarebbe stata deflagrante e avrebbe consegnato un messaggio chiaro e inequivocabile per tutte le mafie”.
PUGNO DI FERRO. Ma la cosa più importante di tutte, Bonafede l’ha detta a conclusione del suo intervento, dimostrando – come se ce ne fosse bisogno – che lui di sconti ai boss non ne ha fatti e mai ne farà. Anzi è vero l’esatto opposto perché se le scarcerazioni dei giorni scorsi sono avvenute per legittime scelte dei giudici di Sorveglianza e sulla base di leggi esistenti da decenni, nonostante la retorica leghista sostenga che la colpa è del Cura Italia e quindi di Bonafede, il ministro ha fatto sapere che: “È in cantiere un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni di detenuti di alta sicurezza e al regime di 41 bis”.
Lo stesso guardasigilli grillino, per evitare che le sue dichiaraizoni vengano strumentalizzate, ha voluto mettere i puntini sulle i spiegando che “l’indipendenza dei giudici di sorveglianza è sacra, applicano la legge. Ma le leggi le scriviamo noi. I domiciliari sono stati concessi per l’emergenza sanitaria. Ma le condizioni ora sono cambiate”.