Il M5S si trova davanti a un bivio: sparire nella dialettica tradizionale del centrosinistra e del centrodestra o ritrovare la sua identità. Come? dando sostanza alla sua azione politica con un pensiero costante. Parola di Marco Guzzi, poeta, filosofo, professore all’università Lateranense e a quella Salesiana. Intensa la sua attività di comunicazione culturale attraverso seminari e trasmissioni radiofoniche.
Il M5s compie 10 anni. Come giudica il suo cammino?
Il M5S nasce sull’onda di una grande contestazione con Beppe Grillo. Questo moto nuovo di contestazione radicale di un sistema, fondato sul dio denaro e sullo svuotamento della democrazia da parte dei poteri finanziari, è stato velocissimo. Nato nel 2009, nel 2013 è entrato in Parlamento e nel 2018 è andato al governo. Con la morte di Casaleggio è venuta meno l’ispirazione ideologica. Grillo ha deciso di eclissarsi e il Movimento è stato lasciato in mano a bravi ragazzi come Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista che però mancavano della potenza dei fondatori e questo ha portato a una prima fase critica nel 2018, con la sconfitta alle Europee e alle Regionali. Questo momento avrebbe dovuto essere accompagnato da un grande lavoro di pensiero per definire meglio l’identità.
La leadership Di Maio va messa in discussione secondo lei?
No. Non ha il carisma di un fondatore. Ma questo non vuol dire che non abbia dimostrato grandi capacità, anche a livello ministeriale ha svolto compiti importanti. Certamente ci vuole un’organizzazione più complessa del Movimento. Ma non è questo il punto.
Se non la leadership, qual è allora la questione?
Senza un’elaborazione di pensiero costante non si può operare una vera rivoluzione come quella che il Movimento si propone di fare. Una rivoluzione, beninteso, democratica, pacifica. Continuo a pensare che il M5S sia la più grande novità politica degli ultimi decenni: ha scompaginato il panorama politico. Anche il potersi alleare prima con la Lega poi con il Pd senza perdere la direzione di marcia è una novità. Si è parlato in maniera banale di trasformismo ma invece fa parte di questa natura inedita, trasversale della rivoluzione che il M5S ha inaugurato.
Dunque il matrimonio col Pd andava fatto?
Non si poteva non provarci. Il M5S rispetto alla sua ispirazione originaria è stato coerente. Di Maio prima delle elezioni del 2018 aveva detto: ‘Se non raggiungeremo la maggioranza per fare un governo autonomo, ci presenteremo a tutte le forze politiche con un programma e con loro concorderemo alcuni punti’. Così ha fatto con la Lega. Poi il governo gialloverde è caduto per le ragioni di Salvini che stiamo ancora cercando di capire ma che il leader della Lega sta pagando e che continuerà a pagare ancora di più.
Cosa manca dunque al M5S per fare il grande salto, per diventare “grande”?
La rivoluzione culturale noi la dovremo fare in ogni caso. E non perché ce lo dice Greta ma perché ce lo dicono da decenni sociologi e filosofi europei. Questo tipo di sviluppo industriale, dove governano le oligarchie finanziarie, è insostenibile. Stiamo andando incontro a nuova grande recessione e non abbiamo l’attrezzatura culturale per affrontare sfide immense. Il M5S è un piccolo strumento di una grande rivoluzione. E deve dotarsi di tale attrezzatura.
Quali sviluppi prevede per il Movimento?
Il M5S si trova davanti a un bivio. Da una parte c’è un grande pericolo: quello di una restaurazione, ovvero di un suo riassorbimento nella dialettica tradizionale del centrosinistra e del centrodestra, che è poi quello che vorrebbe il Pd. Ovvero che diventi una componente di un rinnovato centrosinistra. Ma questo significherebbe per il M5S perdere la sua identità, il suo slancio anche un po’ folle ma necessario di cambiamento. Dall’altra c’è la possibilità che il M5S possa rilanciarsi sul piano organizzativo e sui contenuti, raccogliendo la grande sfida che attende non solo l’Italia ma tutta la democrazia occidentale. Se il M5S non precisa la propria natura, quali sono le sue caratteristiche anti-sistema, quali le sue finalità, l’azione politica perderà slancio.
Ci faccia un esempio.
Il rinnovamento della politica non può limitarsi solo al taglio dei parlamentari ma bisogna capire quale politica fanno questi parlamentari, che progetti di umanità hanno in mente.
E’ ripreso il dibattito sullo ius culturae e sul fine vita. Che ne pensa?
Sono temi importanti ma non credo primari. Occorre aprire dibattiti seri e non polemici. Integrazione significa portare dentro un’altra identità. Dovremmo chiarire prima cosa si intende per cultura italiana. Sul fine vita non credo possa attenere a una legge dello Stato stabilire se una persona vuole morire o no. Lascerei libertà all’interno di uno schema giuridico leggero.