La polemica è scoppiata a metà mattinata. Sono da poco passate le 10.30 quando l’ambasciatore americano a Roma, John Phillips, ospite di un incontro sulle relazioni transatlantiche organizzato dall’Istituto di studi americani, interviene a gamba tesa nel dibattito sul referendum costituzionale. La vittoria del No “sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”, scandisce il diplomatico. Che non contento aggiunge: “Quello che serve all’Italia è la stabilità e le riforme la assicurano, per questo il referendum apre una speranza. Molti Ceo di grandi imprese Usa guardano con grande interesse al referendum”. Perciò “la vittoria del Sì sarebbe una speranza per l’Italia, mentre se vincesse il No sarebbe un passo indietro”. Un endorsement in piena regola al premier, Matteo Renzi, che il prossimo 18 ottobre sarà negli Stati Uniti per una cena di Stato offerta dal presidente Barack Obama e che sulla consultazione autunnale ha puntato tutto.
FUOCO AMICO – Come ovvio, però, le parole dell’ambasciatore statunitense hanno provocato un fuoco di fila. Anche all’interno dello stesso Pd, il partito di cui il numero uno di Palazzo Chigi è segretario. “Mi pare un’ingerenza grave nelle vicende interne di un alleato”, scrive Gianni Cuperlo su Facebook: “Al netto del giudizio diverso che si può avere nei confronti della riforma e delle sue ricadute penso che sulla inopportunità di questo intervento dovrebbero convergere tutti”. Gli fa eco l’ex numero uno dei dem, Pier Luigi Bersani, che è tornato a ribadire il suo No alla riforma. “Sono cose da non credere”, tuona intercettato dai giornalisti nel Transatlantico di Montecitorio. È stato “allestito un appuntamento come fosse un giudizio di Dio” e ciò, conclude, “darà fiato alla speculazione finanziaria e a tutti quelli che vogliono mettere mano sul nostro destino”.
ATTACCO FRONTALE – In questo clima da lunghi coltelli non potevano certo mancare le reazioni delle opposizioni. Dentro Forza Italia dichiarano un po’ tutti, da Maurizio Gasparri a Paolo Romani e Renato Brunetta, che chiede l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ancora più duro è l’attacco del Movimento 5 Stelle. Per bocca del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, i grillini hanno paragonato Renzi al dittatore cileno Augusto Pinochet. Secca la risposta (arrivata via Twitter) del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti: “Attaccare il premier è legittimo. Paragonare l’Italia a una dittatura è squallido. Di Maio, un piccolo uomo”. Nel pomeriggio, sulla polemica è intervenuto anche il dipartimento di Stato americano. Che, interpellato dall’agenzia di stampa il Velino, ha di fatto preso le distanze dalle frasi di Phillips: “Bisogna parlare direttamente con l’ambasciata a Roma per ulteriori commenti o chiarimenti sulle affermazioni” in oggetto. Difficile immaginare che sia finita qui.