Non parlerò di attualità o di manovra o di Pnrr o dei temi economici più rilevanti del momento, dice Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, aprendo l’assemblea annuale degli industriali. E in effetti per quasi tutto il suo discorso ha tenuto fede alla promessa. Con una sola eccezione: il salario minimo.
Bonomi non parla della legge di Bilancio, delle principali misure di cui si discute in questo periodo, ma su uno dei temi più rilevanti degli ultimi mesi nel dibattito pubblico decide di non tacere. E di regalare un assist al governo Meloni e, soprattutto, a tutte quelle imprese che pensano bene che il salario minimo non serve semplicemente perché così possono pagare poco, anzi pochissimo, i lavoratori.
Bonomi boccia il salario minimo
Il presidente di Confindustria, alla sua ultima assemblea alla guida degli industriali, sottolinea che esiste un “legame indissolubile” tra salari e produttività, che obbligherebbe i datori di lavoro “a riconoscere un salario giusto”. Una funzione “affidata alla contrattazione collettiva”, afferma.
Secondo Bonomi “la mera introduzione di un salario minimo legale, non accompagnata da un insieme di misure volte a valorizzare la rappresentanza, non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la piaga del dumping contrattuale, né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”.
A suo giudizio, “la discussione di questi mesi sulla opportunità o meno di introdurre per legge un salario minimo sembra trascurare che la nostra Costituzione ci obbliga a riconoscere al lavoratore un salario giusto”. Quel che invece sembra trascurare Bonomi è che ci sono ben 3,5 milioni posti di lavoro che vengono pagati al di sotto dei 9 euro l’ora di salario minimo che le opposizioni vorrebbero introdurre.
Quindi le cose sono due: o Bonomi ha un concetto di salario giusto ben diverso da quello che viene concepito tale da qualsiasi lavoratore o ignora i numeri più e più volte sottolineati da enti come l’Istat sul lavoro povero.