L’Ungheria di Viktor Orbán ha preso le redini del Consiglio Europeo per i prossimi sei mesi, in un momento delicato per il futuro del progetto comunitario. Il semestre ungherese si preannuncia più come un’occasione di scontro politico che di reale avanzamento legislativo, con Budapest pronta a spingere la propria agenda su temi sensibili come migrazione e difesa.
Sullo sfondo incombe anche il nuovo gruppo Patrioti per l’Europa di cui Orbàn è fondatore e ispiratore e questi primi giorni da scheggia impazzita. Dopo le visite “a sorpresa” a Kiev e Mosca, il premier ungherese e presidente di turno dell’istituzione Ue è stato a Pechino per la sua “missione di pace 3.0”, proprio nel giorno della formazione del gruppo parlamentare ‘Patrioti per l’Europa’. Nessun contatto o coordinamento con gli altri leader né con i vertici di Commissione e Consiglio Europeo.
Il governo Orbán, noto per le sue posizioni euroscettiche e le simpatie filorusse, si trova ora paradossalmente a dover gestire dossier cruciali per l’integrazione europea. Tra questi spiccano il rafforzamento dell’industria della difesa comune, l’utilizzo dei beni russi congelati a sostegno dell’Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni contro Mosca. Temi su cui l’Ungheria ha finora mostrato forte riluttanza, se non aperta ostilità.
Difesa e Ucraina: i nodi più spinosi
Sul fronte della difesa, Budapest dovrà coordinare i negoziati sul Programma europeo per l’industria della difesa (EDIP), che prevede 1,5 miliardi di euro per potenziare l’apparato militare del blocco. Un’iniziativa che l’Ungheria ha finora ostacolato, bloccando i fondi Ue per rimborsare gli aiuti militari all’Ucraina. Sarà interessante vedere come Orbán gestirà questa ambivalenza, dovendo mediare tra la sua retorica sovranista e le responsabilità della presidenza.
Ancor più spinosa la questione dei beni russi congelati, con l’Ue che punta a utilizzarne i proventi per sostenere Kiev. Un piano che potrebbe essere sabotato dall’Ungheria, unico paese membro apertamente filorusso. Non a caso, come rivela Politico.eu, si valuta di affidare il dossier a un formato ristretto di ministri della zona euro per aggirare il potenziale veto ungherese.
Sul fronte delle sanzioni contro Mosca, poi, ci si aspetta ben poco da Budapest. “Si siederanno sulle loro mani e non faranno nulla per sei mesi”, ha dichiarato a Politico.eu un diplomatico europeo. Una previsione che la dice lunga sulle aspettative verso la presidenza ungherese.
L’agenda di Orbán: tra sovranismo e responsabilità europea
Ma l’agenda di Orbán non si limita a ostacolare le politiche anti-russe. Il premier magiaro punta a imporre la propria visione anche su temi come migrazione e politica agricola. Sull’immigrazione, in particolare, l’Ungheria spingerà per un approccio più restrittivo, in linea con le sue politiche nazionali ultraconservatrici.
Non mancano poi dossier potenzialmente divisivi come la riforma del mercato farmaceutico Ue, su cui l’Ungheria dovrà mediare tra le pressioni dell’industria e le esigenze di accesso ai farmaci dei Paesi più poveri. O ancora la direttiva sulle rivendicazioni verdi delle aziende, tema caro agli ambientalisti, ma osteggiato da molti governi.
Insomma, il semestre ungherese si preannuncia come una continua prova di equilibrismo tra gli interessi nazionali di Orbán e le responsabilità europee. Con il rischio concreto di paralisi su molti fronti cruciali, dalla difesa comune al sostegno all’Ucraina.
D’altronde, come ha candidamente ammesso il ministro ungherese per gli affari Ue János Bóka, “è diritto di ogni Stato membro assicurarsi che le decisioni prese su base consensuale siano conformi agli interessi nazionali”. Una dichiarazione che suona come un avvertimento: l’Ungheria non rinuncerà alle sue prerogative sovraniste, nemmeno da presidente di turno.
Resta da vedere se prevarrà il pragmatismo istituzionale o l’agenda nazionalista di Orbán. Di certo questi sei mesi metteranno a dura prova la tenuta dell’Unione, in un momento storico in cui l’Europa avrebbe bisogno di maggiore coesione. La presidenza ungherese rischia di trasformarsi in un’occasione mancata, se non in un vero e proprio azzardo per il futuro del progetto comunitario.