Niente da fare. Nonostante le inquietanti conclusioni cui è giunta la commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito, pare proprio che al ministero della Difesa continuino a pensarla diversamente. La nuova puntata si è consumata qualche giorno fa dopo la notizia secondo cui anche in Serbia un’apposita commissione indagherà sulle conseguenze dei bombardamenti con uranio impoverito condotti dalla Nato nella primavera 1999 durante la guerra del Kosovo. “Di grande aiuto – recitava il lancio d’agenzia Ansa – sarà il rapporto della commissione d’inchiesta istituita in Italia, Paese che partecipò ai bombardamenti Nato del 1999 e nel quale circa 4 mila militari impegnati nell’operazione del Kosovo si sono ammalati di cancro e quasi 300 sono morti”. Piccata e immediata, però, è stata la replica del ministero della Difesa che, su twitter, ha scritto: “Mai usato munizioni contenenti uranio impoverito né in Italia né all’estero. Falso parlare di 4000 militari ammalati e 300 morti. Questione scientifica e sanitaria. Serve responsabilità e verità”. Un commento che ha lasciato tanti sbigottiti. “Inquietante”, lo definisce a La Notizia Domenico Leggiero, responsabile dell’Osservatorio militare che ormai dal 1999 si occupa di uranio impoverito. “Sono affermazioni come al solito omertose – prosegue Mauro Pili, ex parlamentare che tanto si è speso sulla questione – La responsabilità che viene imputata al ministero è di aver mandato militari italiani in Kosovo, consapevoli sia sul piano documentale che su quello sostanziale che lì ci fosse dell’uranio impoverito”. La questione, insomma, “non è aver usato armi proprie o altrui; ma è aver mandato a morire soldati sapendo che in quell’area ci fosse uranio”.
La relazione – Le conclusioni della commissione d’inchiesta, d’altronde, erano chiare. Per la relazione, le criticità “hanno contribuito a seminare morti e malattie“, mentre dai vertici la risposta è stato il “negazionismo”, al quale si aggiungono gli “assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo” che hanno ingenerato il dilagare “tra le vittime e i loro parenti” di uno “sconfortante senso di giustizia negata”. Come se non bastasse le procedure di controllo sono stati talmente farraginosi da cfreare il “duplice effetto di offuscare i rischi incombenti” e “di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere”. Insomma, non c’è alcun dubbio che i nostri soldati siano stati esposti ai rischi derivanti da “nanoparticelle generate da esplosioni causate da proiettili a uranio impoverito”, sottolinea a La Notizia il presidente uscente della Commissione Gian Piero Scanu (ex deputato Pd che il partito, nonostante il suo proficuo impegno su un tema così delicato, ha preferito non ricandidare). “Ripetere che questi proiettili non sono stati usati dalle nostre forze armate non è questione dirimente”, specifica ancora Scanu. Che aggiunge: “Quanto al numero di militari morti e ammalati per esposizione a fattori patogeni di varia natura, amianto, torio, radon, vaccinazioni multiple compresse, benzene e altro, – prosegue Scanu – se li contiamo uno per uno arriviamo probabilmente a più di quattromila vittime. Invece di polemizzare con chi denuncia i problemi, la Difesa farebbe bene a darsi da fare per realizzare le condizioni di sicurezza sul lavoro che oggi purtroppo non sono ancora garantite al personale in divisa e che la Commissione ha chiaramente indicato”.
Ombre pesanti – Ma c’è di più. “Non è mai successo che il ministero intervenisse su una questione così delicata – osserva ancora Leggiero – Questo perché per la prima volta ci potrebbe essere un Governo per il quale la Difesa non è ancora certa di avere il controllo sull’apparato politico. E allora fa il messaggio all’aria, intimidatorio”. Insomma, “come dire al prossimo ministro: ‘il problema non c’è, stai lontano, me la sbrigo io’”. Non a caso, conclude Leggiero, “il tweet non è del gabinetto del ministro, ma viene dai vertici militari della Difesa”.
Tw: @CarmineGazzanni