C’è un italiano dimenticato nelle carceri egiziane. Si chiama Luigi Giacomo Passeri, ha 31 anni, ed è detenuto da quasi un anno per possesso di una piccola quantità di marijuana. La sua storia è l’ennesimo capitolo di una saga di indifferenza e abbandono che il nostro Paese riserva ai suoi cittadini in difficoltà all’estero. Ma non a tutti, a dire il vero.Mentre il governo si affanna per rimpatriare Chico Forti, condannato negli Usa per omicidio, Luigi langue in una cella del carcere di Badr, 65 km a est del Cairo. Un Centro di correzione e riabilitazione inaugurato in pompa magna da Al-Sisi nel 2022, ma che in pochi mesi si è guadagnato la stessa terribile reputazione del famigerato carcere di Tora.
Silenzio assordante
La colpa di Luigi è un piccolo quantitativo di marijuana durante una vacanza in Egitto nell’agosto 2023. Da allora, è iniziato il suo calvario: carcerazione preventiva, torture, un’operazione all’appendice seguita da abbandono medico, udienze continuamente rinviate. L’ultima, il 22 maggio, è saltata per mancanza di un interprete. Kafkiano. Ma ciò che più colpisce è il silenzio assordante delle nostre istituzioni. Vincolate dagli accordi energetici stretti con il governo di Al Sisi. La famiglia Passeri, disperata, ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe per pagare le spese legali. L’avvocato egiziano chiede 30 mila dollari, una cifra esorbitante ma “ragionevole rispetto ai 70 mila richiesti dall’ambasciata italiana”. Come se non bastasse l’abbandono, ci si mette anche il cinismo burocratico.
Il calvario di Luigi Giacomo Passeri
Il deputato Marco Grimaldi di Alleanza Verdi e Sinistra ha presentato un’interrogazione parlamentare, chiedendo al governo di attivarsi per garantire assistenza, verificare le condizioni di detenzione e assicurare un processo equo. “Non vogliamo altri casi Salis, di sicuro non vogliamo un altro caso Regeni”, ha dichiarato. Ma le sue parole sembrano cadere nel vuoto. Intanto, Luigi continua a soffrire. Nell’ultimo messaggio inviato alla famiglia il 16 giugno, ha annunciato di aver intrapreso lo sciopero della fame. Un grido disperato di aiuto che rischia di rimanere inascoltato. La sua vicenda ci ricorda, ancora una volta, quanto sia selettiva l’attenzione mediatica e politica verso i cittadini italiani in difficoltà all’estero.
Mentre si organizzano operazioni di rimpatrio in grande stile per detenuti “eccellenti” come Chico Forti, ben altro trattamento è riservato ad altri connazionali detenuti all’estero accusati, peraltro, di reati molto meno gravi. È una storia che traspira ipocrisia e calcolo politico. Una storia che ci dice molto sulla reale considerazione che il nostro Paese ha dei suoi cittadini e dei loro diritti fondamentali. Mentre scriviamo, Luigi Giacomo Passeri attende ancora giustizia. Attende che qualcuno si ricordi di lui, che qualcuno alzi la voce per chiedere un processo equo, cure mediche adeguate, il rispetto dei suoi diritti umani. Attende che l’Italia dimostri di essere davvero un Paese che non abbandona i suoi figli. Ma l’attesa si fa sempre più lunga e il silenzio sempre più assordante. E intanto, nel deserto egiziano, un giovane italiano continua a gridare aiuto. Sperando che qualcuno, finalmente, lo ascolti.