“L’Ue tutela la libertà di stampa, nessuna direttiva prevede il bavaglio sulle ordinanze cautelari”: parla l’eurodeputata M5S Palmisano

La direttiva Ue non vieta alla stampa di pubblicare gli atti. "La riforma Nordio impedisce solo il lavoro ai giornalisti", dice Palmisano.

“L’Ue tutela la libertà di stampa, nessuna direttiva prevede il bavaglio sulle ordinanze cautelari”: parla l’eurodeputata M5S Palmisano

“Nessuna direttiva europea prescrive il bavaglio, censura o limitazioni sulla pubblicazione degli atti processuali. Il governo si dovrebbe solo vergognare per il tentativo di mettere sotto tutela la libertà di stampa e di limitare la libertà dei cittadini a essere informati”. Parola dell’eurodeputata M5s, Valentina Palmisano, che in un’interrogazione ha chiesto al commissario Ue alla Giustizia, Michael McGrath, la posizione della commissione sulla direttiva 2016/343, quella invocata da Marta Cartabia prima e dal ministro Carlo Nordio poi, per stabilire il divieto di pubblicazione integrale delle ordinanze di custodia cautelare. In nome della “presunzione d’innocenza”. Ma “la direttiva impone agli Stati membri di garantire che le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino indagati e imputati come colpevoli. La direttiva non prescrive specifiche divieti per quanto la pubblicazione da parte della stampa di atti processuali relativi alla fase preprocessuale del procedimento”, ha spiegato McGrath.

Palmisano, alla luce di quanto risposto da McGrath, qualcosa non torna rispetto a come la direttiva è stata recepita in Italia dalla riforma Nordio…
Certo. La direttiva dice solo che deve essere tutelata la presunzione d’innocenza, cioè che un soggetto non deve essere presentato all’opinione pubblica come colpevole prima di una sentenza. E questo è sacrosanto. Ma questo era già contenuto nel nostro ordinamento: in Italia siamo già garantisti.

Invece la lettura che ha dato l’Italia della direttiva è un po’ diversa, no?
Il governo ha dato una lettura molto restrittiva della libertà di stampa. Qui abbiamo due diritti che devono essere contemperati: libertà di stampa e presunzione d’innocenza. Il governo ha fatto pendere la bilancia in negativo verso la libertà di stampa, nel senso che hanno colto l’occasione per introdurre una norma che va a impedire al giornalista di fare il suo lavoro, soprattutto ai giornalisti dei giornali locali. Infatti il mio intervento con la Commissione deriva anche dal fatto che molti giornalisti locali mi hanno contattato dicendo che non possono più scrivere se un sindaco, un assessore o un amministratore sono sottoposti a indagine per fatti gravissimi. Devono stare zitti per non incappare in guai giudiziari.

Che poi quella stessa direttiva sottolinea che deve essere assicurata la massima libertà ai media. Il contrario della “versione” italiana.
È come se il governo avesse letto solo una parte della direttiva, cancellando tutta l’altra parte riguardante il diritto dovere di informare. Invece l’Ue è molto sensibile a garantire la libertà di stampa.

Due giorni fa il giudice Gratteri ha sottolineato il paradosso che un provvedimento spacciato come “garantista” per l’indagato, che in realtà lo mette a rischio, visto che obbliga il giornalista a non riportare letteralmente gli atti, ma a fare una sintesi del documento. Esponendolo al rischio dell’errore.
Tutti hanno criticato questa normativa, gli ordini dei giornalisti, esperti, tecnici, magistrati, perché intaccava sia sulla libertà di stampa sia sul diritto dei cittadini di essere informato. Ma è il modo che questo governo ha di incidere, da una parte sulla magistratura, dall’altro sulla libertà di stampa, che ci fa capire dove vuole andare a parare, ed è una direzione preoccupante.

Il divieto di pubblicazione è solo una parte dell’azione di compressione della libertà di stampa in atto in Italia. La scorsa commissione ne era conscia, anche nel nuovo Parlamento c’è questa convinzione?
Certo, infatti ci sono rapporti sul sentiment relativi alla libertà di stampa nell’Unione, dove il nostro Paese non se la passa affatto bene.