“L’atteggiamento dell’Europa è assolutamente schizofrenico, non ha una posizione unitaria praticamente su nulla e ogni Paese tira acqua al suo mulino”. Antonino Galloni, economista ed ex direttore generale del ministero del Lavoro, editore della rivista Economie Parallele, con alle spalle una carriera accademica nelle principali università italiane, non fa sconti a un’Europa che continua a procedere in ordine sparso, come da ultimo sul dossier gas.
Sulla richiesta avanzata a gran voce dall’Italia di Mario Draghi di un price cap al gas l’Europa continua a nicchiare e a prendere tempo. Una parte di Paesi è favorevole, un’altra no. Cosa ne pensa?
“Partiamo da una considerazione. II price cap è la negazione di per sé di quello che questi signori ci hanno insegnato per decenni e cioè che il libero mercato è la via migliore per regolare questi affari. Chi era della scuola post-keynesiana ha sempre negato questa circostanza. Chi ha governato l’ha sempre affermata. Improvvisamente tirano fuori dal loro cilindro una cosa del genere che ovviamente è una cosa che solleva qualche sospetto. La verità è che ognuno tira acqua al suo mulino, chi ha un vantaggio da una misura liberistica ne afferma la bontà, chi ne ha svantaggio la nega come fosse una verità apodittica. Ciascuno Stato è coerente solo con i propri interessi. Putin ora ha interesse che il prezzo vada su, quindi dice ‘facciamo funzionare il libero mercato’, i liberisti in questo momento sono invece in difficoltà perché non ne hanno imbroccato una. Avrebbero dovuto cercare soluzioni prima della guerra in Ucraina. Hanno preferito invece far scivolare il conflitto perché soprattutto ad americani e inglesi faceva comodo che questo accadesse per le loro mire geopolitiche. Dopodiché gli europei hanno dichiarato guerra a Putin ma pensando, forse, che la guerra sia un pranzo di gala o l’inaugurazione di una mostra di beneficenza e quindi gridano, poi, al non rispetto dei contratti se Putin li pretende in rubli per sostenere la sua moneta, per esempio”.
Cosa avrebbe dovuto fare invece l’Europa?
“Gli europei avrebbero dovuto trovare prima una soluzione per evitare una guerra dentro l’Europa e non l’hanno fatto. Poi si sono messi a fare la guerra a Putin pensando di potersela cavare con le solite misure restrittive. Ora si trovano alle prese con problemi che non nascono dalla guerra in Ucraina ma affondano le radici nell’insufficienza di investimenti in infrastrutture, logistica e trasporti. È stato fatto di tutto per trasformare la Cina in primo produttore mondiale, dimenticando che Pechino a livello di trasporti marittimi presentava delle strozzature. Se facciamo produrre tutto ai cinesi e poi non ci preoccupiamo dei costi che lievitano per motivi di logistica e trasporti vuol dire che usiamo il cervello a fasi alterne. Un atteggiamento da parte dell’Europa assolutamente schizofrenico, direi. Non ha una posizione unitaria sul price cap come sul resto. Ognuno tira acqua al suo mulino e se ne frega dei problemi del vicino. Si teorizzano cose astratte come il pieno funzionamento e la libertà dei mercati dimenticando che i mercati sono determinati soprattutto dalle speculazioni finanziarie. Con il lockdown nel 2020 c’è stato un calo produttivo, con la ripresina del 2021 ci si è accorti che non erano stati fatti abbastanza investimenti in infrastrutture e trasporti. Ma chi li doveva fare? Gli Stati dicono che non hanno i soldi e i privati non intravedono sufficienti profitti. La guerra non ha aiutato perché si sono inseriti fenomeni di carattere speculativo sia dal lato finanziario sia dal lato dei grandi intermediari – per noi l’Eni – che hanno comprato a prezzi più o meno contrattualizzati e poi hanno cominciato a vendere a prezzi gonfiati per avere extraprofitti”.
Lei è d’accordo sulla tassa sugli extraprofitti?
“Prima di tutto gli extraprofitti andavano evitati con controlli pubblici ma il pubblico è invaso da multinazionali. Non c’è più il funzionario pubblico che controlla sul rispetto delle leggi nell’interesse della collettività. Oggi ovunque, in Parlamento e nei governi, ci sono accozzaglie di lobbisti che in nome di questa o quella multinazionale trovano accordi. Possono anche denunciare speculazioni, come ha fatto da noi il ministro Roberto Cingolani, ma poi non prendono provvedimenti perché rispondono a poteri forti non certo al popolo”.
Da noi finora la tassa ha fatto flop.
“Prima di annunciarli bisogna verificare che i provvedimenti siano coerenti con tutto l’impianto giuridico nazionale. Quello che scorgo è una gran confusione”.
Il Governo pensa a un decreto da 12-13 miliardi contro il caro-energia. E non intende procedere con scostamenti di bilancio per aumentare la portata degli interventi.
“La mia ricetta è introdurre moneta sovrana, nazionale anche per pagare tasse, monete metalliche superiori ai due euro e mezzo. Ci sono altre strade, oltre allo scostamento, per finanziare una spesa pubblica, sana, necessaria e utile. Invece si creano grandi resistenze al credito d’imposta e al Superbonus 110% che ha tenuto a galla l’economia italiana”.
Come giudica l’ostilità al 110% da parte del Governo?
“Come un grosso errore, considerando che la gente ci aveva fatto affidamento”.
E invece che voto dà alle misure messe in campo dal Governo dei Migliori contro il caro-bollette?
“Mi paiono contradditorie fra loro, non efficaci. Il punto è che le nostre imprese, le piccole e medie aziende, in alcuni comparti hanno stretto la cinghia ma, poi, a furia di stringere, la cinghia si spezza. Si dovrà allora prima o poi intervenire con aiuti diretti e questo non è esaltante dal punto di vista di quello che non si è fatto. Le autorità sono lì per intervenire sui problemi altrimenti cosa ci stanno a fare? Se ogni volta che viene a piovere c’è la catastrofe territoriale vuol dire che non si sono presi provvedimenti adeguati. Idem per il caro-energia alle stelle con la guerra in Ucraina. Che, ripeto, avrebbe dovuto essere evitata. L’Europa si è schierata contro la Russia ma non ha fatto niente per sganciarsi dalla dipendenza di Mosca. Ma se Putin era il grande nemico fin dal passato – e come tale è stato trattato con un errore geopolitico secondo me, perché sarebbe stato meglio avere un rapporto diverso con Mosca, giocando sulla sua europeità – bisognava lavorare per rendersi indipendenti da lui. Non si può pretendere, una volta scoppiata la guerra, che tutto continui come prima. Mi sembra irragionevole”.