Non erano dunque farneticazioni del Movimento Cinque Stelle le dichiarazioni sul governo Meloni che fa aumentare la povertà. Ora è anche la Commissione europea a dirlo: le misure che hanno sostituito il Reddito di cittadinanza, in particolare l’Assegno di inclusione, faranno impennare la povertà assoluta e quella infantile, in particolar modo.
E fa sorridere, un sorriso amaro, la replica del ministero del Lavoro, guidato da Marina Calderone. Secondo cui l’analisi di Bruxelles “si basa su uno studio di natura statica e parziale, nel senso che non tiene conto delle dinamiche di attivazione generate dalle nuove misure e dalla crescita dell’occupazione in Italia”.
Non considera Calderone che anche l’Istat ha certificato che la presenza di un lavoratore all’interno del nucleo familiare non mette al riparo dal rischio di povertà. E che Bruxelles smonta anche la narrazione entusiasta del governo sulla crescita dell’occupazione. Nel mirino i contratti precari e i salari da fame.
Il report dell’Ue che smonta l’assegno di inclusione
“Si prevede che l’assegno di inclusione determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile (rispettivamente di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali) rispetto al regime precedente”, si legge nell’analisi sulla convergenza sociale dedicata all’Italia condotta dalla Commissione Ue nel quadro del semestre europeo.
“Nonostante alcune misure di accompagnamento positive, si prevede che criteri di ammissibilità più rigorosi” al sostegno introdotto a gennaio “ridurranno l’impatto per alleviare la povertà del nuovo regime”, scrive Bruxelles.
“Sono mesi che denunciamo il fallimento delle politiche del governo Meloni nel contrasto alla povertà e adesso anche la Commissione europea ci dà ragione”, commenta Pasquale Tridico, economista e candidato circoscrizione Sud alle Europee per il M5S.
“Mentre l’Europa si pone l’obiettivo di ridurre di almeno 15 milioni le persone che vivono in povertà, compresi almeno 5 milioni di bambini, entro il 2030, il governo Meloni, con quasi 6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta, ha cancellato quella che era una misura di carattere universale di contrasto alla povertà”, dice la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi.
L’Ue mette nel mirino i contratti precari e i salari da fame in Italia
Ma non solo l’assegno di inclusione. Dall’istruzione all’occupazione, dalla povertà alla questione meridionale, sono molteplici gli ambiti su cui Bruxelles punta i riflettori analizzando i “potenziali rischi per la convergenza sociale”. La Commissione, dicevamo, smonta anche la narrazione entusiasta del governo sul mercato del lavoro.
Nel suo report l’esecutivo Ue osserva che “nonostante i progressi compiuti, in particolare per quanto riguarda l’occupazione, ulteriori sforzi potrebbero portare l’Italia ad affrontare pienamente le sfide che si trova ad affrontare in relazione al mercato del lavoro, alla protezione sociale e all’inclusione, nonché all’istruzione e alle competenze”.
Sul fronte occupazionale, la Commissione europea segnala che, nonostante i limitati miglioramenti nel 2023, “la percentuale di contratti a tempo determinato rimane tra le più alte nell’Ue”, un elemento che – combinato “all’elevata incidenza di forme di lavoro non standard (compreso il lavoro stagionale) – ha portato a “una diminuzione del numero di settimane lavorate all’anno e contribuisce a un’elevata disuguaglianza e volatilità dei guadagni annuali”.
“Le riforme recentemente intraprese”, tra cui il decreto Lavoro, “non sono ancora sufficienti per affrontare il problema dell’elevata percentuale di contratti a tempo determinato”, sottolinea ancora Bruxelles.
Anche i salari, “strutturalmente bassi”, rappresentano una criticità. “Tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%, metà della crescita a livello dell’Ue (23%)”, nota l’esecutivo Ue, evidenziando che “mentre il potere d’acquisto nell’Ue è aumentato del 2,5%, in Italia si è ridotto del 2%”.
“La stagnazione salariale, la bassa intensità di lavoro e i bassi tassi di occupazione, insieme a un’elevata percentuale di famiglie monoreddito, comportano significativi rischi di povertà lavorativa”, si legge nel report.