Per qualcuno si va incontro a una vera e propria guerra commerciale. Per altri, invece, era una mossa giusta e dovuta. La decisione della Commissione europea di imporre dazi ai veicoli elettrici cinesi importanti nell’Unione divide gli Stati membri. L’esecutivo comunitario parla di concorrenza sleale al termine di un’indagine durata nove mesi e che ha portato alla proposta di imporre dazi aggiuntivi fino al 38%.
In una dichiarazione la Commissione spiega di aver comunicato alle parti interessate il livello dei dazi compensativi provvisori che vuole imporre sulle importazioni di auto elettriche provenienti dalla Cina. Per tre produttori la percentuale è stata definita singolarmente: 17,4% per la società Byd, 20% per Geely e 38,1% per Saic. Per gli altri produttori cinesi di auto elettriche che hanno collaborato all’inchiesta, ma non fanno parte di questo campione, il dazio sarà definito da un valore medio ponderato pari al 21%. La Commissione ha contattato le autorità cinesi per sottoporre loro la questione e cercare una soluzione alla questione: se non dovesse arrivare, i dazi scatterebbero dal 4 luglio. L’accusa di concorrenza sleale è dettata dal fatto che questi produttori ricevano sussidi pubblici, potendo poi vendere i loro veicoli in Europa a un prezzo al di sotto di quello di produzione.
Dazi per le auto elettriche cinesi: i dati
I dazi vanno a toccare un settore che, secondo i calcoli di Rhodium Group, lo scorso anno ha comportato esportazioni dalla Cina all’Ue per 10 miliardi di euro, con un raddoppio della quota di mercato fino all’8%. Peraltro le stime europee sono ancora più alte, tirando in ballo i 2,5 milioni di posti di lavoro a rischio, che diventano 10,3 indiretti, causati dalla concorrenza ai produttori interni. Secondo i calcoli della Commissione, tra il 2020 e il 2023 la quota di mercato di questo settore in Ue è scesa di nove punti percentuali, fino al 59,9%. Mentre, al contrario, la quota di mercato delle importazioni cinesi è salita dal 3,9% al 25%.
I nodi politici e il compromesso
La questione non è solo economica, ma anche politica. Innanzitutto all’interno dell’Unione: la decisione di procedere con una forchetta di dazi è un compromesso tra i Paesi europei, che vanno dalla Francia che voleva infliggere misure più drastiche alla Germania che teme tensioni e scontri commerciali con il governo cinese. Alla posizione di Berlino, inoltre, si accoda anche l’Ungheria.
Allo stesso tempo, anche gli analisti temono ritorsioni di Pechino: tesi corroborata anche dalle parole del ministero del Commercio cinese, secondo cui le conclusioni europee sono “prive di fondamento fattuale e giuridico”. Motivo per cui Pechino invita l’Ue a correggere il tiro e annuncia che si riserva di adottare “in modo risoluto tutte le misure necessarie” a tutela delle sue aziende. Per la Germania la tassazione doveva allinearsi a quella prevista dalla Cina, del 15%.
Al contrario oggi al 10% già previsto si aggiungeranno i dazi. All’opposto di Berlino si schiera il governo italiano, con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che parla di “soddisfazione” per la scelta Ue. Dall’altra parte c’è invece Stellantis, secondo cui la concorrenza dovrebbe essere “libera e leale”, evitando “la frammentazione del mondo”. E, nello specifico, una guerra commerciale tra Bruxelles e Pechino.