Di Stefano Sansonetti
La situazione sta precipitando. E società italiane come Sace e Danieli, che fino all’ultimo hanno sperato di poter mettere un pezza, rischiano di subire un danno economico di non poco conto. Tutto ruota intorno alla crisi russo-ucraina e alle sorti di Interpipe. Parliamo del gruppo metallurgico che fa capo al magnate ucraino Victor Pinchuk, grande finanziatore delle fondazioni di Bill Clinton e Tony Blair. Ebbene, sono mesi che Interpipe non se la passa bene da un punto di vista finanziario. Di più, perché l’ultima novità in ordine di tempo è che la sua posizione si è talmente deteriorata da risultare a un passo dal default. Il panorama emerge da rumors sempre più consistenti che arrivano da Londra, dove da mesi è in corso una causa proprio tra Interpipe e diverse società internazionali creditrici. Questioni giudiziarie a parte, la situazione adesso minaccia di ripercuotersi senza troppe vie d’uscita anche su Danieli e Sace.
L’impatto
Il fatto è che diversi anni fa la società di Pinchuk ha affidato all’italiana Danieli la costruzione in Ucraina di un impianto siderurgico da 700 milioni di dollari. Per la realizzazione dell’opera Interpipe ha ottenuto, tra gli altri, finanziamenti per 375 milioni di dollari da Barclays e Citibank. Qui è entrata in ballo la Sace, oggi controllata al 100% dalla pubblica Cassa Depositi e Prestiti, che ha garantito l’operazione proprio perché c’era di mezzo l’italiana Danieli. La conclusione? Come ha già raccontato La Notizia del 18 marzo 2014, l’impianto siderurgico è stato inaugurato in pompa magna nel 2012, ma alla Danieli e alle banche i soldi sono arrivati con il contagocce. Al momento, a quanto filtra, la società italiana vanta ancora un credito di 26 milioni di euro nei confronti del gruppo di Pinchuk. Mentre la Sace ha un’esposizione potenziale verso Interpipe di 110 milioni di euro. Ora, in base alle indiscrezioni che filtrano la società guidata dall’amministratore delegato Alessandro Castellano confida ancora in un tentativo di ristrutturazione del debito con Interpipe. Il tutto nella speranza di allungare i tempi. Lo schema da perfezionare, infatti, è inesorabile: o Pinchuk paga le banche, anche nei nuovi termini che dovessero essere raggiunti, o Sace deve intervenire “onorando” la garanzia. E questo, in soldoni, significa che la società di Castellano potrebbe essere costretta a mettere mano alle sue riserve. Per carità, 110 milioni non sono una cifra in grado di stressare il “tesoretto” di Sace. Ma è chiaro che l’imminente fallimento di Interpipe, secondo quanto arriva da Londra, darà un grande fastidio. Dal gruppo controllato dalla Cdp, al momento, filtra la convinzione di potersela cavare con la ristrutturazione del debito. Ma la situazione sembra molto più grave di come la si voglia dipingere.
Gli effetti
Anche Danieli, a suo tempo, aveva provato la strada di un accordo con Interpipe per cercare di recuperare, almeno in parte, il suo credito residuo di 26 milioni di euro. Come già era accaduto nel marzo di quest’anno, la società italiana preferisce non commentare la vicenda. Del resto, come sanno bene anche in Sace, nessuno è più in grado di nascondersi che con la recrudescenza della crisi russo-ucraina i problemi del gruppo guidato da Pinchuk sembrano irreversibili. Da una parte la crisi del settore dell’acciaio, dall’altra tutta una serie di dazi all’importazione imposti dalla Russia, hanno praticamente messo con le spalle al muro la società ucraina. Molti analisti, ormai, non fanno altro che esprimere dubbi sulla capacità di Interpipe di far fronte a tutti i bond emessi negli anni scorsi. E numerose società finanziarie stanno impedendo ai loro manager di valutare investimenti in queste obbligazioni. Titoli che, quasi a chiudere il cerchio, alcune agenzie di rating giudicano ormai “spazzatura”. Insomma, un tracollo finanziario che non soltanto rischia di mandare gambe all’aria l’ex colosso ucraino, ma di creare fibrillazioni anche alle italiane Danieli e Sace. E potrebbe essere solo l’inizio.
@SSansonetti